Certe stravaganze della percezione visiva. Omaggio a Leonardo
Sarà capitato a chiunque d’intravedere nelle nuvole, o in certe sfumature e striature delle piastrelle, volti, animali, scenari vari. D’interpretare cioè linee e forme casuali, configurazioni astratte e confuse, conferendo loro significato.
L’occhio si posa su quanto non si direbbe degno d’interesse e, attraverso la memoria delle immagini sedimentate nella coscienza e per mezzo dell’ingegno, vede altro. Vede oltre la forma visibile.
Con il termine pareidolia, o illusione pareidolitica, ci si riferisce a quel fenomeno che consente di vedere ciò che non c’è, per assimilazione e analogia, per vicinanza di forme.
In un suo interessante scritto, lo storico dell’arte Ernst H. Gombrich pone l’attenzione sul capitolo del Trattato della pittura di Leonardo da Vinci, significativamente intitolato “Modo d’aumentare e destare l’ingegno a varie invenzioni”.
Affinché un artista possa arricchire il proprio repertorio d’immagini, il grande Leonardo gli suggerisce di osservare le macchie sui muri sgretolati o le nuvole in cielo, posto che, a suo avviso, “nelle cose confuse l’ingegno si desta a nuove invenzioni”.
Per lo stesso principio creativo, Leonardo ha introdotto nel proprio metodo di lavoro lo schizzo e lo scarabocchio semiautomatico, il ghirigoro semicosciente.
Un aspetto che mi preme qui sottolineare è che di una percezione illusoria o realisticamente distorta se ne può fruire esteticamente, fino al punto di farne un espediente, se non artistico, perlomeno creativo e ricreativo. Vale a dire che si può approfittare di un errore percettivo, di un’illusione ottica di vario tipo.
A margine di questo discorso, può essere utile considerare il fenomeno fisico della rifrazione e l’illusione ottica che ne deriva: la matita spezzata nel bicchiere d’acqua, esperimento di scienze dei tempi della scuola elementare.
A causa della rifrazione della luce tra acqua e aria, percepiamo come spezzato il corpo solido immerso nel liquido, pur sapendo che così non è. Ciò vuol dire che nella specie umana le strutture biologiche che presiedono alla visione non si sono evolute al pari delle nostre conoscenze.
Similmente, o quasi, pur essendo consapevoli che una macchia oppure una pietra non sono altro da sé, la percezione può spontaneamente strabordare dai confini del dato reale che osserviamo, diventare stravagante nell’accezione etimologica del termine.
Per quanto le illusioni pareidoliche siano fenomeni di cui tutti possono fare esperienza, credo che per esse valga il principio che ci insegna la teoria dell’arte fotografica: la cosa vista, più che di se stessa, dice molto dell’occhio che vede.
In altre parole, nell’interpretare una forma che di per sé non ha nessun referente nella realtà, nel riconoscervi una forma piuttosto che un’altra, c’è molto della personalità di chi vede.
È il principio su cui si basa il test psicologico di Hermann Rorscharch, secondo cui il soggetto che vi si sottopone riconosce una certa immagine e non un’altra, in ciascuna delle tavole contrassegnate da macchie simmetriche d’inchiostro, proprio in virtù della sua individualità.
Dunque, nelle esperienze di cui sopra intervengono diverse variabili soggettive, comprese una certa disposizione ricettiva e inclinazione agli scherzi della fantasia.
D’altronde, possono andare in direzioni diverse le suggestioni visive di due o più soggetti che osservano un medesimo elemento. Per non dire del fatto che uno stesso soggetto può riconoscere più immagini in una sola configurazione, per esempio in una certa pietra o in una briciola di pane.
Vorrei ora considerare un altro punto della questione: questi processi creativi della visione si innescano anche osservando elementi dotati di una propria identità, dunque non necessariamente a partire da strutture originariamente amorfe.
La fantasia gioca sul terreno delle ambiguità e crea identità ibride, assimilando ciò che è presente a ciò che è assente. Qualcosa che esiste in natura, o un oggetto che ha già una sua identità riconoscibile per uso e funzione, sembrano o ricordano qualcos’altro: così il gioco delle “nuove invenzioni” ha inizio.
di Cinzia Abis