Inquinamento ed altri disastri
di Marta Maresca
L’uomo è il principale colpevole dei disastri ai danni dell’ecosistema e nonostante si cerchino delle soluzioni al problema la strada è ancora lunga. Colpa della negligenza e dell’alto costo di alcune soluzioni.
Si definisce disastro ambientale un evento dannoso per l’ecosistema e per le specie che ne fanno parte, tra cui anche l’uomo. Paradossalmente la gran parte degli eventi disastrosi sono causati proprio da quest’ultimo e dal suo scriteriato utilizzo di sostanze chimiche pericolose senza le necessarie precauzioni.
Sono rari, infatti, gli eventi naturali che vengono etichettati come disastri ambientali senza che l’intervento umano abbia contribuito ad accentuarne i danni. Se pensiamo, per esempio, agli straripamenti dei fiumi, questi spesso sono dovuti alla modifica degli argini e alla deviazione del corso naturale, mentre le frane sono imputabili al disboscamento senza cognizione di causa; lo stesso si può dire per le valanghe e le slavine e le case travolte da queste sciagure spesso e volentieri non dovevano trovarsi lì perché zona a rischio.
La mano dell’uomo è sempre più protagonista dei disastri degli ultimi anni nonostante le moderne tecnologie e gli studi avanzati ci permettano di conoscere l’attività sismica di un luogo e di costruire palazzi resistenti alle scosse, che però sono più costosi di fabbricati non a norma.
Quindi perché mai pensare di salvare vite umane domani se oggi posso intascare qualche milioncino in più.
Le maggiori conseguenze dei disastri causati dall’uomo sono nelle ripercussioni dei danni nel corso del tempo; negli anni questi eventi possono alterare molti aspetti della vita umana, animale e vegetale.
Questo perché l’immissione incontrollata di sostanze estranee nell’ambiente causa scompensi molto al di sopra di quello che potremmo immaginare.
Pensando ai disastri ambientali, giungono alla mente fughe di gas e di sostanze chimiche, malfunzionamenti di reattori nucleari con conseguente inquinamento radioattivo, sversamenti di petrolio e di rifiuti pericolosi.
Questi accidenti possono essere frutto di inadempienze umane o conseguenza di eventi naturali, come terremoti o tempeste. Nel secondo caso i danni possono essere arginati costruendo con criterio e considerando la possibilità di eventi simili, premunendosi adeguatamente con valvole di sicurezza e costruzioni a norma.
Tutte queste precauzioni risultano inutili quando la mano dell’uomo è sciatta e menefreghista e la mente che vi è collegata non ipotizza le conseguenze che la sua disattenzione può provocare.
– Perché le sostanze chimiche sono così pericolose per l’uomo?
La chimica non nasce perché è sempre esistita in natura, ma il suo studio negli anni è divenuto sempre più approfondito per migliorare le condizioni di vita dell’uomo.
Il problema, e il disastro ambientale conseguente, sorge nel momento in cui lo sfruttamento delle sostanze chimiche crea un inquinamento chimico che altera l’equilibrio naturale dell’ambiente. Bisogna sempre tenere in considerazione il principio di Le Chatelier, secondo cui: “se in un sistema all’equilibrio vengono introdotte delle sostanze che ne alterano l’equilibrio, il sistema agirà in modo da raggiungere un nuovo equilibrio”.
Il concetto si applica allo stesso modo al sistema Terra: ipotizzando che un impianto di produzione di acido solforico non depuri egregiamente i gas di scarto, si avrà immissione nell’atmosfera di anidride solforosa.
Questo composto è tra i più inquinanti e la prima conseguenza della sua presenza nell’atmosfera è la formazione delle piogge acide; queste danneggiano edifici, animali, piantagioni, inquinano mari e sorgenti, falde acquifere e terreno.
Il sistema Terra deve dunque stabilire un nuovo equilibrio e questo non è sempre raggiungibile con facilità, ma può necessitare anche di molto tempo.
– Conseguenze dell’inquinamento chimico.
L’inquinamento chimico consiste nella presenza di composti o elementi chimici introdotti artificialmente nell’ambiente, che possono distruggere la flora e la fauna presente in quel luogo oppure causare una proliferazione incontrollata di una delle due distruggendo l’altra. L’avvelenamento da metalli pesanti è una delle conseguenze dell’inquinamento chimico.
La presenza anche minima di metalli pesanti nel terreno o nell’aria può avvelenare l’ambiente, causando sull’uomo ingenti danni fisici, che riguardano i diversi sistemi e organi a seconda dell’elemento a cui si è soggetti.
L’avvelenamento è dovuto alla predisposizione di questi metalli a formare complessi con l’ossigeno e altri elementi presenti nell’ambiente cellulare a causa delle loro caratteristiche chimico-fisiche; tali complessi causano disfunzioni nell’organismo che si manifestano con vari disturbi.
Gli ossidi di azoto, per esempio, sono pericolosi per l’uomo perché per il forte potere ossidativo causano stress cellulare indebolendo l’organismo e rendendolo facile preda di virus e infezioni.
L’NO₂ è il più pericoloso, e di conseguenza lo è l’NO che facilmente si ossida a NO₂ una volta immesso nell’atmosfera. Gli ossidi di azoto vengono prodotti a partire dalla combustione in presenza di aria e i valori limite di tali composti stabiliti dall’OMS sono 40 μg/m 3 come media annuale e 200 μg/m 3 come concentrazione media oraria.
– Possibili soluzioni.
Per tentare di diminuire la concentrazione di tutte queste sostanze nell’atmosfera sono in fase di studio e sperimentazione carburanti prodotti a partire da sostanze naturali, quindi più facilmente e velocemente
biodegradabili. I più comuni, e già utilizzati in parte, sono il biodiesel e il bioetanolo, ricavati da acidi grassi.
Inizialmente si è pensato di utilizzare carburanti di origine fossile mescolati in percentuale variabile con oli di origine vegetale; le prestazioni migliori si sono ottenute con il 20% di oli, ma a lungo andare il motore subisce alcuni danni quali otturazione degli iniettori, depositi carboniosi, indurimento delle guarnizioni e ispessimento e gelificazione degli oli lubrificanti a causa del contatto con gli oli vegetali. Per ovviare a questi inconvenienti è stato ideato il biodiesel, che è una miscela di esteri alchilici di acidi grassi ricavata dalla transesterificazione di trigliceridi con metanolo.
I motori possono essere adattati a questo carburante tramite alcune semplici modifiche. Il processo di produzione del biodiesel prevede una transesterificazione catalizzata da basi quali NaOH o NaOCH₃. Il
catalizzatore basico è notevolmente più attivo del corrispettivo acido, per cui viene preferito.
Per limitare il processo di saponificazione che si verificherebbe tra il catalizzatore e gli acidi grassi liberi si deve limitare al minimo la presenza di questi ultimi; per fare ciò è utile eliminare totalmente l’acqua. Vengono utilizzati oli ricavati da semi di girasole, soia e colza.
I biocarburanti sono ricavati perlopiù da graminacee utilizzate anche per nutrire la popolazione, come ad esempio il mais; facendo un confronto tra il consumo medio annuo di un’automobile e la richiesta di mais ad personam risulta che per rifornire l’automobile è necessario sette volte il quantitativo medio per nutrire un uomo, per cui si è giunti al compromesso di ricavare carburante da materiale di scarto, quale la cellulosa che costituisce la gran parte della biomassa, oppure da piante ad alto rendimento che crescono in ambienti sfavorevoli, semi aridi, e resistenti ai patogeni, che quindi necessiterebbero di poche cure e poca acqua, di modo da non sottrarre materie prime alla popolazione.
Il bioetanolo, invece, si ottiene a partire dall’amido o dallo zucchero tramite fermentazione con l’ausilio della saccharomyces cerevisiae. La resa migliore di bioetanolo si ottiene a partire dall’amido.
– Il motore a idrogeno.
Altro modo di ovviare all’inquinamento causato dai veicoli alimentati da combustibili fossili è il motore a idrogeno, tuttora in fase sperimentale. I modelli finora ideati si distinguono in a combustione interna e a celle a combustibile.
Il grande ostacolo riscontrato nella commercializzazione del motore a idrogeno sono i consistenti costi di produzione, che non lo rendono accessibile al pubblico. Tale scenario si era presentato anche per i motori elettrici, che sono stati resi commercializzabili grazie allo sviluppo tecnologico che ha abbattuto i costi di produzione.
Tuttavia molte case automobilistiche tra le più famose al mondo hanno interrotto la ricerca sul motore a idrogeno perché troppo costosa, ripromettendosi di riprenderla in un secondo momento, per potersi ora concentrare sul perfezionamento delle vetture elettriche.
L’idrogeno non si trova in natura tal quale, ma è necessario produrlo tramite combustione di metano o altri gas naturali; la strada per rendere la produzione di questo gas indipendente dai combustibili fossili passa attraverso l’elettrolisi dell’acqua, ma le fonti di energia rinnovabile, quali solare ed eolica, al momento non raggiungono il valore limite per avviare l’elettrolisi senza l’intervento di altre fonti di energia.
Dunque la strada per risolvere l’eccessivo inquinamento e rendere l’uomo indipendente dai combustibili fossili è ancora lunga, ma di certo è già tracciata. Probabilmente il primo sentiero fu segnato dallo stesso Diesel che progettò il suo motore per essere alimentato con un carburante prodotto a partire da oli di semi.