Diritti Costituzionali: sempre rispettati?
1. Breve excursus sulla perequazione
La perequazione automatica è uno strumento di natura tecnica, istituito dall’art. 10 della l.903/1965 e volto all’ adeguamento delle pensioni al crescente costo della vita.
Il meccanismo in esame, se felicemente attuato, assicurerebbe il rispetto di diritti costituzionalmente garantiti quali la sufficienza della retribuzione ad “assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” , art. 36 Cost., primo comma, nonché l’assicurazione dei “mezzi adeguati alle loro esigenze di vita…” art. 38, comma secondo.
2. L’illegittimo azzeramento della perequazione per il biennio 2012/2013
Il Governo Monti emanava il D.L.201/2011, col quale azzerava la rivalutazione delle pensioni di importo tre volte superiore il trattamento minimo INPS, nel mirino le retribuzioni differite pari e superiori a 1217 euro netti.
La norma incriminata, art. 24, comma 25, veniva dichiarata illegittima dalla Consulta per l’irragionevole sacrificio dei principi di adeguatezza e proporzionalità delle pensioni, “nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio”, sent. 70/2015.
Pertanto, si dava inizio a una sequela di ricorsi amministrativi e giurisdizionali verso l’INPS, per riottenere legittimamente la soglia di rivalutazione precedentemente negata.
3. Il Decreto 65/2015 e il cambio di rotta della Consulta
L’illegittimità costituzionale del D.L.201/2011, art. 24 comma 25, aveva sorpreso il Governo Renzi per l’ingente esborso che ne sarebbe derivato allo Stato: ben 28 miliardi di euro. Ed è in questo clima che si era partorito il D.L.65/2015, c.d. decreto Poletti, allo scopo di abrogare la disciplina previdenziale non conforme a Costituzione.
Con calcolatrice alla mano si riduceva, pertanto, la spesa pubblica da 28 a 2 miliardi di euro attraverso percentuali di rivalutazione inversamente proporzionali all’ammontare del trattamento pensionistico, del 40% per trattamenti superiori di tre volte al minimo INPS; del 20% per trattamenti superiori di quattro volte e così via.
In effetti, dal disegno legislativo traspariva un aggiramento del diktat della Corte, un vero e proprio bilanciamento a favore della finanza pubblica, piuttosto che dei diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale.
D’altronde, la composizione della Corte mutava, condizionandone l’approccio alla tematica, tanto da affermare nell’udienza camerale del 25 ottobre 2017 che il decreto pensioni è costituzionalmente legittimo perché realizza “un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica”, respingendo “le censure di incostituzionalità del decreto legge n. 65 del 2015 in tema di perequazione delle pensioni.”
4. Conclusioni
Un inedito scenario si apre, così, nel panorama giuridico col cambio di rotta della Consulta. Ciò che fa più discutere è che a farne le spese sono sempre i cittadini, che sacrificano le loro aspettative di vita dopo un lungo percorso lavorativo, vedi l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni per ambo i sessi e ai quali si sottrae oggi ciò che spettava ieri.
di Fabio Avitabile