La parlèsia napoletana: il linguaggio della posteggia
di Antonio Alaia
Vi è mai capitato di essere per strada, o in un locale di musica dal vivo, e sentire un gruppo di musicisti attaccare il pezzo affermando di voler fare “un po’ di bagarìa”? O magari di sentire due artisti di strada contrattare su “e’bbane” da riscuotere? Nulla di strano, non avete sentito male, avete solo avuto la fortuna di ascoltare il gergo segreto della parlèsia napoletana!
La Parlèsia è un linguaggio sottodialettale che nasce alla fine del ‘700 a Napoli tra i ceti sociali più bassi del popolo, particolarmente diffuso nell’ambiente degli scaricatori di porto, dei malviventi e soprattutto tra i musicisti della “posteggia” (si ricordi che la posteggia non è intesa come facciamo oggi, come il semplice atto di corteggiare una ragazza, ma prima indicava la serenata musicale, a pagamento, che si faceva sotto il balcone di una donzella).
È proprio grazie ai musicisti di strada che la parlèsia si è diffusa nella cultura popolare ed è uscita dai vicoli in cui è stata nascosta per secoli.
Il motivo della formulazione di un così complesso gergo criptato è facilmente intuibile: gente come i musicisti posteggiatori e malviventi avevano bisogno di un linguaggio che permettesse loro di dialogare velocemente e senza la paura di essere compresi dagli altri passanti (soprattutto dalle forze dell’ordine).
Vediamo qui alcuni esempi:
ACCIBBUÍ – “mangiare”
ADDITARMË – “dietro”
ADDÓ VA – “tizio di cui non ci si può fidare”
o BBIANCH’E NNIRË – “il pianoforte”.
BBICICLETTA – “la macchinetta per i denti”.
o BBUFFO – “palcoscenico”.
CAMMËNETÈSIA – “la camminata”.
BBAGARIA – “l’atto sciocco, inutile, dannoso”, “la suonata”.
a BBANÈSIA – “il danaro”.
Nonostante l’etimologia sia perlopiù sconosciuta o ormai andata opacizzandosi nel tempo, alcuni aspetti morfologici ricorrenti possono aiutarci a descriverne alcune caratteristiche: due esempi sono i suffissi ricorrenti “-èsia” e “-enza” e l’uso di metafore per camuffare i veri vocaboli (Bicicletta = apparecchio per i denti, probabilmente per il metallo e per la forma circolare).
Questo gergo è rimasto segreto fino agli anni 50’ del ‘900 poi, grazie a chi ha prodotto musica extra-colta, si è diffuso nella cultura generale: partendo da Pino Daniele che la utilizzò nel suo brano Tarumbò (prodotto dalla casa discografica Bagaria), passando per James Senese nella sua Napoli centrale fino ad arrivare a Enzo Avitabile, grande cultore della lingua.
Oggi, grazie agli archivi online, questa lingua sta ottenendo successo anche tra le nuove generazioni e, almeno per ora, è salva dall’oblìo linguistico. Oggi, infatti, possiamo facilmente reperire vocabolari ben dettagliati e nozioni storiche su quest’affascinante e secolare codice segreto.