Pasquino, la statua senza faccia che insultava i papi
di Raffaele Iorio
Roma 1501: dagli scavi della ristrutturazione della piazza, oggi omonima, emerse Pasquino: una statua senza faccia né arti destinata a far scalpore.
Era il 1501 quando dagli scavi della pavimentazione dell’allora piazza di Parione, oggi piazza di Pasquino, emerse una statua particolare. Priva di faccia e arti, questa fu giudicata di scarso valore e destinata alla distruzione. Ma grazie all’intervento del cardinale Oliviero Carafa, la statua fu posizionata in un angolo della piazza e così salvata. Da allora cominciò l’abitudine di affiggere al collo di Pasquino, di notte, delle invettive anonime, le così dette “Pasquinate”.
Vittime abituali furono gli esponenti delle più alte cariche della città ma l’obiettivo prediletto furono i papi.
Molti, infatti, i pontefici bersagliati dalle “Pasquinate”, che venivano lette prima dell’intervento di censura delle guardie.
Da Adriano IV a Sisto V, passando per Clemente VIII le invettive ebbero un enorme successo rendendo del tutto vani i tentativi di disfarsene. Sbarazzarsi della statua poteva essere pericoloso: il maggior timore era la ritorsione del popolo per un tale affronto.
Così Pasquino divenne famoso, ma non furono sempre rose e fiori.
Con l’accrescersi della sua fama, ben presto cominciò a diffondersi l’abitudine di affiggere le satire alla statua per colpire i nemici politici. Molti poeti e letterati chiamati in causa sotto compenso, Pietro Aretino e Giambattista Marino ne sono esempio, presero di mira i più svariati avversari politici dei loro committenti.
Ma del fatto che le Pasquinate erano rivolte prevalentemente ai pontefici ne è prova la scomparsa di queste dopo la breccia di Porta Pia, ovvero con la fine del potere temporale dei papi. Da quel giorno le satire scomparvero, salvo comparire sporadicamente.
Era il 1938 quando Pasquino si fece sentire ancora. Le sue parole descrivevano la vuota pomposità degli allestimenti per la venuta di Hitler:
Povera Roma mia de travertino
te sei vestita tutta de cartone
pe’ fatte rimira’ da ‘n imbianchino
venuto da padrone!
Oggi non è possibile affiggere direttamente alla statua le Pasquinate, a tale scopo è stata allestita un’apposita bacheca.
Ma perché Pasquino?
Molte sono le leggende circa l’origine del suo nome: di seguito si riporterà una delle tante versioni tratta da Ragione d’alcune cose’ di Lodovico Castelvetro (1505-1571)
… Diceva adunque che fu in Roma, essendo egli giovinetto, un sartore assai valente di suo mestiere chiamato per nome ‘maestro Pasquino’, il quale teneva bottega in Parione, nella quale egli e i suoi garzoni, che molti n’aveva, facendo vestimenti a buona parte de’ corteggiani, parlavano liberamente e sicuramente in biasimo de’ fatti del Papa e de’ cardinali e degli altri prelati della Chiesa e de’ signori della Corte; delle villane parole de’ quali, siccome di persone basse e materiali, non era tenuto conto niuno né a loro data pena niuna o malavoglienza portata di ciò dalla gente; anzi, se avveniva che alcun, per nobiltà o per dottrina o per altro riguardevole, raccontasse cosa non ben fatta d’alcun maggiorente, per schivare l’odio di colui che si potesse riputare offeso dalle parole sue e potesse nuocergli, si faceva scudo della persona di maestro Pasquino e de’ suoi garzoni nominandoli per autori di simile novella, in tanto che in processo di tempo passò in usanza comune e quasi in proverbio vulgare l’attribuire a maestro Pasquino ciò che accadeva nell’animo, a ciascuna maniera d’uomini, di palesare in infamia de’capi ecclesiastici e secolari della Corte.
Ma poscia, morto lui, avvenne che, lastricandosi o mattonandosi la strada di Parione, una statua antica di marmo in parte tronca e spezzata, figurativa d’un gladiatore, la quale era mezza sotterrata nella via pubblica e col dorso serviva a camminanti per trapasso acciocché non si bruttassero i piedi nelle stagioni fangose, fu dirizzata in piedi per mezzo la bottega che fu di maestro Pasquino, perciocché, giacendo come faceva prima, rendeva il lastricamento o il mattonamento meno uguale e men bello; alla quale, essendosi dal popolo imposto il nome di colui che quivi vicino soleva dimorare e dinominandosi ‘maestro Pasquino’, gli avveduti corteggiani e cauti poeti di Roma, non si scostando dall’usanza, già invecchiata, di riprendere i difetti de’ grandi uomini come divulgati da maestro Pasquino, a quella assegnarono e assegnano i sentimenti della lor mente quando vollero o vogliono significar quello che non si poteva o non si può, facendosene autori, raccontare o scrivere senza evidente pericolo, siccome avviene a chi ha ardimento di muover la lingua o la penna in disonore di coloro che possono e vogliono nuocer per cagioni ancora vie più leggiere… Cotale adunque raccontava il Tibaldeo essere stato il cominciamento di maestro Pasquino e cotale essere stato ed essere e dovere essere il soggetto e la forma de’ suoi ragionamenti…