Spostati che devo vivere: cos’è la Fondazione Ana Bella
«Sorellanza, scambio, testimonianza»: ecco cos’è la Fondazione Ana Bella per Carmen Rodriguez Ruiz
Io non sono fortunata.
La sera mi addormento vicino a un uomo con cui divido la quotidianità, con cui divido le faccende e che, qualche volta, mi vizia per il gusto di farlo.
Ma io non sono fortunata, io sono ordinaria.
L’OMS definisce la violenza a discapito delle donne “un problema di salute di proporzioni globali”.
Io all’OMS vorrei dire: «Grazie per l’informazione».
Io non sono fortunata se il mio uomo mi accarezza e mi dice che sono bellissima con un vestitino.
La Fondazione Ana Bella è una realtà che dalla Spagna ha preso forma per poi espandersi nell’aiuto del prossimo. Oggi ai microfoni de La Testata abbiamo il piacere di intervistare Carmen Rodriguez Ruiz, collaboratrice della fondazione che ha condiviso con noi un pezzo di sé.
Tutto era partito come un’intervista, ma poi si è trasformata nella comunione di idee, di storie di due donne, io, Benedetta De Nicola, e Carmen Rodriguez Ruiz. Di seguito riporterò le fasi del nostro discorso.
Abbiamo iniziato, impacciate, con una canonica domanda: «Raccontami come la fondazione ha mosso i primi passi».
Carmen mi racconta di Ana Bella, per undici anni violentata in ogni forma dal marito/ carnefice, mi racconta di quanto, ormai, ella non sentisse il peso del dolore, di quanto si fosse assuefatta alla violenza, finché, una sera, lui l’ha quasi soffocata.
Quel gesto ha ricordato alla donna che aveva quattro figli e ancora amore nel cuore, ha aspettato la notte ed è scappata in una casa di accoglienza.
Da una vita ricca, in un paese della Spagna ricco, Ana Bella si è trovata a vivere in una casa comune, con un marito che la intimidiva, ma intanto aveva trovato qualcosa che non sapeva più come fosse fatta: la gioia di vivere.
Oggi la fondazione esiste grazie a quella notte, esiste perché Ana Bella, in quella casa, ha deciso di aiutare le donne come lei, le sopravvissute, che, come Carmen ci spiega, sono quelle donne tanto forti da sfuggire alla violenza e a combatterla.
Mentre Carmen mi spiega le posizioni della fondazione, mentre mi dice che loro parlano con la testa, che non vogliono nascondersi perché non c’è vergogna nella violazione subita, io penso alla mia storia e a tutte le esperienze che ho vissuto di violenza, mi ricordo di quando il mio ex mi ha dato il primo schiaffo e mi vergogno di me stessa per non averlo lasciato, mi vergogno, ma poi non cedo e racconto a Carmen ciò che sento, mi riscopro uguale a lei, senza proporzioni, senza mezzi termini, mi riscopro sua sorella e così le chiedo di raccontarmi la sua storia personale perché, ormai, sia io che lei siamo felici.
«Io vi ho conosciute grazie a due video che avete proposto sulla vostra pagina Facebook, due video che mi hanno commossa per la semplicità che dimostravano nel raccontare tanto dolore e il riscatto. Quindi voglio chiederti di parlare della tua storia».
Carmen è contenta di esporsi, è convinta che questo suo modo di essere sia un esempio per il prossimo e io sono d’accordo con lei. Così inizia a raccontare. Lui era l’uomo ideale, a sedici anni le attenzioni di un ragazzo di otto anni più grande, le parole dolci, l’anello regalato davanti al fiume, sembravano l’immagine di una luna di miele infinita. Le prime violenze erano sottili, celate dietro la preoccupazione fasulla per la donna che gli era di fianco. Per comodità continueremo chiamando quest’uomo Luca, così da utilizzare un soggetto alle prossime elucubrazioni.
Luca, per Carmen, era solo apprensivo, si preoccupava di designare per lei una dieta, le pagava una palestra alla quale lei doveva recarsi ogni giorno e voleva che lei studiasse in una scuola con indirizzo in scienze motorie. Lei non doveva ingrassare o sarebbe stata ovvia la conclusione: tradirla perché sarebbe diventata brutta.
«Quando ti lascerò, non chiederti perché. Se guardo un’altra, non chiedermi perché».
Carmen ed io parliamo su Skype, lei parla e il mio sangue si raggela, non tollero tutto ciò, avrei voluto prendere Luca e dargli tanti schiaffi in faccia fino a farlo piangere di dolore, è così che fa, la gente così tira fuori il peggio di noi, il mio ex tirava fuori il peggio di me. La ascolto e ci ripenso, mi immedesimo e mi fermo su un ultimo aneddoto.
«Mio nonno aveva l’Alzheimer, era malato e io decisi di passare del tempo con lui. Pensando che Luca avrebbe capito, lo avvisai che non sarei andata in palestra quel giorno per stare col nonno.
Luca, così, fuori di sé mi disse che tanto mio nonno non sapeva nemmeno chi fossi e che sarei dovuta stare lì poco tempo per poi andare in palestra».
I tre anni di Carmen e Luca trascorrevano tra una violenza economica, sessuale e psicologica. Carmen ora ha dieci chili in più, è molto bella e dolce, mangia quello che vuole e ha studiato ciò che le piaceva. Ripensa con me ai tempi in cui con quella paghetta da cinquanta euro, offriva una cena, felice, al suo lui, quella volta al mese in cui poteva. Ripensa a quando lui le impediva di uscire con le amiche, ripensa a quella coppia assemblata intorno al dolore, così, le chiedo come si sono lasciati.
«Ero a cena da mia suocera, lei fece una domanda di carattere generale e la mia opinione non convergeva con quella di Luca. All’udire delle mie parole, Luca divenne folle, stava per picchiarmi a causa dell’ira, così, la paura che mi ha fatta bloccare, mi ha anche suggerito che dovevo lasciarlo. Gli chiesi di accompagnarmi alla fermata del pullman che si trovava molto lontano da casa, lui mi portò al mio paese, lasciandomi per strada e buttando la mia valigia. Così è finita tra noi».
Carmen mi racconta che è arrivata in fondazione per caso, partecipando a un incontro, mentre studiava per diventare assistente sociale.
Ora è libera, libera di raccontarsi e di vivere.
Benedetta De Nicola
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