The Boondocks: la parola con la N
«Signore e signori: Gesù era nero, Ronald Reagan era il Diavolo e il Governo vi ha mentito sull’11 settembre». Così inizia The Boondocks, serie che coniuga stereotipi e critica sociale.
Nel 1999, sul Los Angeles Times, appariva per la prima volta la striscia a fumetti The Boondocks, opera del fumettista afro-americano Aaron McGruder. Passò qualche anno e nel 2005, dalla striscia a fumetti, venne fuori una serie animata, prodotta sempre da McGruder e distribuita dalla rete americana Adult Swim.
La serie narra le vicende che coinvolgono la famiglia Freeman, in seguito al trasloco nella cittadina di Woodcrest; la famiglia è composta da Robert Jebediah Freeman, il nonno, e i suoi due nipotini, Riley e Huey Freeman, di 8 e 10 anni. Ognuno dei protagonisti, soprattutto i due fratellini, incarna pregi e difetti che si stereotipizzano al “tipico” afro-americano medio.
Riley ha solo 8 anni ma già sa cosa vuole fare da grande, il gangster: catene dorate, ricchezza e il rispetto dei suoi fratelli, questo è tutto ciò di cui ha bisogno; ascolta rapper che inneggiano a soldi, droga e pistole e ne sposa la cultura, ma alla prima avvisaglia di pericolo si nasconde con la coda tra le gambe.
Robert Freeman, invece, non perde tempo ad andare dietro a qualunque giovane donna attraente che gli
capiti a tiro, nella più totale noncuranza dei nipotini.
Huey, chiamato così in riferimento Huey P. Newton, co-fondatore delle Pantere Nere, rappresenta il prototipo dell’attivista afro-americano, che non perde occasione di attaccare il sistema americano o criticare qualsivoglia comportamento apparentemente denigratorio verso la sua “gente”; in questo personaggio, probabilmente, viene rappresentata la critica più dura di tutta la serie: se all’inizio verremo colpiti e piacevolmente sorpresi che un ragazzino di 10 anni si faccia paladino di discorsi così alti e importanti, basteranno poche puntate per renderci conto di quanto vuoti siano in realtà certi atteggiamenti, poveri di fatti e spesso meramente situazionali.
Huey si soffermerà sempre sul “negro” di turno, sull’ennesimo complotto o su qualche comportamento dei bianchi in particolare, ma mai su se stesso; sarà così impegnato a criticare l’assenza di morale e giustizia negli altri da non vedere la sua.
Al fianco della famiglia Freeman troviamo diversi personaggi secondari ben caratterizzati e portatori, anch’essi, di comicità e satira, uno su tutti lo Zio Ruckus, un nero che crede di essere un bianco e che odia i nigga; pensa di essere affetto da svitiligine, una malattia inventata che ha fatto sì che la sua pelle diventasse da bianca sempre più scura, «il contrario di ciò che è successo a Michael Jackson» come dice lui stesso.
Lo show è irriverente e sempre sopra le righe e non cade né in banalità né in razzismo, dato che l’intero progetto è stato proprio scritto da un afro-americano volto a distruggere sia tutte le falsità della società americana, riguardo a questo argomento, ma anche il perbenismo e il finto buonismo che imperversano, spesso peggiori del male che vorrebbero “curare”.
Quindi non ci si deve stupire se parole come negretto o scimmia, siano usate continuamente all’interno della serie perché servono a dare forza e veridicità alla satira cruda voluta da McGruder e a tutto l’apparato narrativo.
Purtroppo, in seguito a diverse diatribe tra l’ideatore dello show, Adult Swim e Sony, la serie è stata chiusa dopo la quarta stagione e solo le prime due sono state doppiate in italiano.
Successivamente era stata aperta una campagna su kickstarter per finanziare un film in live-action sullo Zio Ruckus, con un esito negativo.
E se trovate la serie pesante e volgare è solo perché la verità fa male.
Davide Cacciato