La paura del diverso: quando lo straniero diventa una minaccia
Com’è possibile che nella società in cui viviamo, in cui tutte le culture si incontrano a livello globale, ci sia ancora una discriminazione del diverso?
Karl Popper parlava di “società aperta” in riferimento a un tipo di istituzione in cui il fatto stesso che non si potesse raggiungere una verità assoluta, permettesse a tutti di esprimere le proprie idee e di partecipare in modo collettivo alle decisioni.
Bauman, in “Il demone della paura” prende questo concetto e lo inserisce nell’attuale stato della società, dove l’aggettivo “aperto” assume un significato del tutto nuovo: si riferisce, infatti, ad una comunità «esposta ai colpi del destino». Questa concezione ha molto a che fare con il pensiero del sociologo, noto soprattutto per aver introdotto nella disciplina il concetto di “società liquida”, caratterizzato da esperienze individuali e relazioni sociali destrutturate, o meglio, con strutture capaci di decomporsi e ricomporsi continuamente in modo fluido.
Qual è la conseguenza di una società fluida? Non esistono più barriere geografiche attraverso la globalizzazione e lo stesso Stato non ha più il potere di controllare e proteggere, data la permeabilità di tutte le istituzioni umane. Questo provoca sconforto agli abitanti del pianeta che cercano sempre dei confini e delle difese da ciò che non conoscono.
Bauman identifica questa sensazione come “paura” e afferma che essa è «con ogni probabilità il demone più sinistro tra quelli che si annidano nelle società aperte del nostro tempo». Attualmente, la paura generalizzata verso un’esistenza liquida e quindi senza confini, si sta sempre più realizzando attraverso la demonizzazione del diverso. Infatti, come abbiamo visto nel periodo di campagna elettorale, molti programmi si basavano su politiche di “zero sbarchi” di immigrati in Italia.
Perché, dunque, si attua questa avversione del diverso, nonostante il principio base della società aperta “tipica” sia la tolleranza? Per spiegarci ciò, Bauman introduce nel suo saggio un’intervista ad Alain Touraine in cui leggiamo «Viviamo in una società più aperta e mobile, nella quale i contatti tra popolazioni differenti sono più facili e costantemente in crescita. È una situazione che produce conseguenze contraddittorie. Accanto all’apertura e alla disponibilità, si manifesta anche l’esasperazione dell’inquietudine alimentata dalla diversità degli altri. Ma quando un’intera comunità viene osteggiata e respinta finisce per ripiegarsi su se stessa sprofondando nel risentimento.»
Lo straniero diventa una minaccia non perché appartenente a una cultura diversa dalla nostra, ma per il fatto stesso che le nostre sicurezze possano essere messe in discussione di fronte a qualcosa di non riconoscibile. A questo punto, cosa bisogna fare per evitare di parlare ancora di xenofobia nel XXI secolo?
Non basta di certo rifletterne a livello accademico ma è necessario discuterne anche a livello locale attraverso politiche che favoriscano il dibattito e l’integrazione. Per questo i cosiddetti politici di professione di fronte a eventi di chiaro fondamentalismo che si sono susseguiti negli ultimi tempi, invece di esacerbare il divario della diversità, dovrebbero svestire di pregiudizi prima se stessi e poi le loro politiche per sconfiggere il demone della paura.