Dal vinile alla pop culture: intervista a Lello Savonardo e Gianluca Vitiello
di Rossana Iannotta
Uno degli eventi più rilevanti della ventesima edizione dei DiscoDays è stato sicuramente la presentazione dell’ultimo lavoro del prof. Lello Savonardo, sociologo della musica, docente universitario e – come egli stesso tiene a sottolineare – musicista. L’incontro, tenutosi sullo stesso palco in precedenza dedicato ai musicisti, è stato mediato dal rapper napoletano Lucariello, tra gli autori della soundtrack di Gomorra, e da Gianluca Vitiello, speaker dei programmi radiofonici DeeNotte e WeeJay, in onda su Radio Dj.
Noi de La Testata – Testa l’informazione abbiamo avuto il piacere di incontrare il prof. Savonardo, accompagnato da Vitiello, e di fargli qualche domanda, non solo a proposito del suo libro, ma anche su alcuni tra i più scottanti temi di attualità.
Partiamo con una presentazione generale del libro.
“Pop Music, Media e Culture Giovanili – Dalla Beat Revolution alla Bit Generation, con la postfazione di Luciano Ligabue, è un libro che racconta, sostanzialmente, i mutamenti culturali e sociali che passano attraverso i linguaggi musicali dagli anni ’50 in poi.
Partendo dalla sociologia della musica, esso si concentra sulle culture e sulle sottoculture giovanili ma anche sul passaggio dai media tradizionali al web e inevitabilmente fa un affondo dalla Beat Revolution alla Bit Generation, parlando delle tecnologie digitali e le modalità con cui i giovani usano la rete anche per comunicare, socializzare, creare e persino per produrre musica.”
Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
“Io sono un sociologo della musica e insegno Comunicazione e Culture Giovanili alla Federico II di Napoli; sono sempre stato un musicista e già con la mia tesi di laurea, e in seguito con il mio primo libro, mi sono concentrato sulla sociologia della musica, in particolare con un libro sui nuovi linguaggi musicali a Napoli (il rock, il rap e le posse) che faceva un’analisi della musica degli Almamegretta e dei 99 Posse da un punto di vista socioculturale. Ho sempre studiato questi fenomeni in veste di sociologo, adesso sono circa al tredicesimo libro scritto. Tra l’altro, il mio libro Sociologie de la Musique, che è la traduzione in lingua francese di Sociologia della Musica, è distribuito in tutto il mondo francofono, dal Canada al Nord Africa. Per tali ragioni in questo momento sono inserito in un dibattito sociologico sulla musica come esperto italiano. Pop Music è uno degli ultimi studi che ho prodotto su questi temi.”
Quindi lei è anche un professore ed è a stretto contatto con i giovani. Quanto e come i suoi studenti l’hanno ispirata in questo lavoro?
“I miei studenti mi nutrono, come io spero di nutrire le loro conoscenze e il loro sapere. Sono sempre uno stimolo forte per me poiché il confronto con i giovani è necessario e fondamentale quando si parla di culture giovanili. Solo ascoltandoli è possibile comprendere i fenomeni sociali: attraverso i linguaggi giovanili si interpretano i mutamenti più rilevanti della società. Sono un musicista, sono un docente universitario, mi nutro della musica che suono e della musica che ascolto, oltre che delle mie lezioni, che non sono solo un modo di trasferire conoscenze, ma anche di acquisire emozioni ed esperienze da parte dei miei allievi.”
Interviene Gianluca Vitiello.
Ci dia un feedback sul libro.
G. V.: “Allora, innanzitutto io sono stato uno studente di Lello e lui è stato anche il mio relatore, quindi alcune delle cose che ho trovato nel libro facevano parte anche della mia tesi, che trattava della storia della radio. Il passaggio da studente di Lello ad amico di Lello mi ha portato poi a indagare con lui alcuni territori di sua competenza, tra cui appunto la musica e le culture urbane, che seguo io stesso; ho mosso i primi passi nell’ambiente musicale grazie al rap. Una parte molto interessante del libro è quella sulla radio: è utile capire come tutti i media, tra loro diversi, poi in realtà confluiscano in quelli che sono i linguaggi della comunicazione, altro tema caro al professore. E poi c’è una parte bellissima legata a Napoli, che è molto cara anche a me, essendo emigrante, e alla musica prodotta a Napoli in certi anni di cui io sono stato più o meno protagonista, ovvero quelli dei primi gruppi rap. Ed è bello perché in questi giorni si parla tanto di Liberato e io mi sento di dire che, senza quegli anni, sarebbe stato impossibile creare questo fenomeno un ventennio dopo. Liberato è interessante perché in realtà in lui confluiscono tutti i temi di cui Lello parla: c’è la pop music, i social media, Liberato stesso è un fenomeno mediatico.
Liberato è incredibile, perché è un medium da solo, e racconta delle culture giovanili e di quelle urbane. Di conseguenza, io credo che nel libro sia svelata la vera identità di Liberato, soltanto che per contratto non possiamo rivelarla.”
A proposito dei media: cosa ne pensate del rapporto tra questi e la musica? I media rendono più veloce la diffusione della musica, più immediato farsi conoscere ma allo stesso tempo si è anche perso un po’ il contatto diretto con l’artista, non trovate?
L. S.: “È importante sottolineare, come diceva Gianluca, che è indubbio come i media e la comunicazione, le culture e la popular music siano un tutt’uno. Sono vasi comunicanti e in genere, come nel caso di Liberato, l’arte è un’opera collettiva. Ogni forma d’arte, come direbbe Becker, è un’opera collettiva dove ci sono figure diverse che contribuiscono alla realizzazione del prodotto e alla veicolazione dello stesso. Quindi i media sono fondamentali e determinanti, lo sono stati negli anni ’50 – parlo dei mass media tradizionali – e lo sono oggi con il web. Lo si vede nel momento in cui si crea un prodotto come quello di Liberato, che è inevitabilmente un lavoro di team, di condivisione, di conversazione tra figure diverse e quindi un’opera collettiva, che parte dal regista Francesco Lettieri, che attraverso le immagini di Napoli e una narrazione che va ben oltre i versi della canzone, racconta e trasmette contenuti sociali, e arriva all’arrangiatore dei brani che è chiaramente un artista, che riesce a vestire bene una certa poesia che Liberato esprime attraverso i testi. Ma al di là di questo, tutta la musica pop si esprime attraverso processi e produzioni artistiche collettive.”
G. V.: “Concludo dicendo che i nuovi media e i social hanno invece avvicinato molto il pubblico all’artista. È possibile conoscere la musica anche attraverso tutti i nuovi canali come Spotify e Tidal, e poi quante informazioni possiamo sapere sui nostri artisti preferiti semplicemente seguendoli su Instagram? Una volta per sapere qualcosa di un artista bisognava aspettare che uscisse il disco, c’erano quelle quattro fotografie contenute nel booklet e poche altre informazioni su qualche rivista. Oggi invece ogni giorno puoi seguire la vita quotidiana di un artista. Ovviamente, come accade per tutti noi, si tratta sempre di una narrazione filtrata, ovvero viene mostrato solo quello che si vuole mostrare. Anche noi condividiamo sui social una narrazione parziale di noi stessi, probabilmente la migliore possibile, e lo stesso vale per gli artisti. Ma in ogni caso i social hanno avvicinato le persone agli artisti: pensa solo al fatto che oggi puoi scrivere a un artista e magari lui ti risponderà. Una volta, scrivere a un artista era un po’ come scrivere al papa: dall’altra parte non c’era nessuno. Oggi invece, degli artisti sai persino dove si trovano in tempo reale, cosa indossano, dove mangiano. Per me è molto importante e anche molto bello che si sia instaurato un nuovo tipo di rapporto tra pubblico e artista.”
L. S.: “Tu citavi il papa e aggiungerei che anche Papa Francesco ha colto l’importanza dei social e di quanto possano essere uno strumento straordinario di comunicazione diretta con i propri utenti. Non c’è dubbio che grazie ai social media tutti siamo dei media: cioè tutti possiamo veicolare in modo interattivo dei contenuti verso altri utenti.”
Ci troviamo alla Fiera del Vinile, non credete che le nuove tecnologie abbiano mandato in crisi i supporti materiali, come ad esempio i cd e lo stesso vinile?
G. V.: “Beh, per quanto riguarda il vinile stiamo assistendo a un suo ritorno, lo dicono le vendite, ma si parla sempre di un fenomeno di nicchia rispetto a quella che è la cultura dell’era digitale. Però io non lo vivo come un grosso problema, l’importante è che la musica possa continuare a transitare, a raggiungere le persone. Per quanto riguarda il supporto fisico possiamo fare riferimento alla qualità del suono, ma quella è più una roba per tecnici. Io ne sono un fruitore e dico che, finché la musica mi arriverà, non è importante il mezzo. Io sono uno di quelli a cui i dischi rap a Napoli, quando uscivano, non li vendevano perché ce n’erano solo due copie e le davano ai DJ famosi. Io non ero un DJ famoso e quindi non li riuscivo mai a beccare. Oggi questa cosa invece non avviene più: la musica è di tutti e questo è molto importante. Poi è ovvio, c’è tutto un discorso romantico sul vinile e la fiera del vinile, ma è più una roba da collezionisti. La cosa più importante è che la musica sia per tutti.”
L. S.: “E in ogni caso le tecnologie, che siano analogiche, digitali o quelle che verranno, accompagnano i nostri contenuti, i nostri messaggi, le nostre produzioni artistiche e ci permettono di veicolarle, amplificarle e comunicarle agli altri.”