Le matrioske del focolare domestico: ricette dalle cucine virtuose delle nonne
di Cinzia Abis
L’argomento qui proposto è il seguente: come la povertà, dunque la necessità, aguzzava l’ingegno delle donne nella preparazione del cibo.
Donne di epoche passate, non così lontane, affaccendate nelle loro cucine. Potremmo osservarle, muniti di binocolo, affacciandoci a quella finestra temporale a metà tra la Seconda Guerra Mondiale e l’immediato dopoguerra.
Il tema però è un altro: il rapporto tra tradizione e tradimento; cioè il rapporto dialettico tra continuità, da un lato, e superamento, dall’altro. Superamento inteso qui come ripensamento e rivisitazione. Rivisitazione dei luoghi che non sono più eppure sono ancora, attraverso la memoria e l’identità di chi vi fa ritorno. Ma, forse, questo è il mio “fuori tema”.
Anzitutto, si vuole qui sottolineare non tanto il recupero odierno della tradizione della cucina povera, oggi divenuta di moda, quanto la possibilità di reinterpretare ciò che, oggi come allora, viene comunemente considerato scarto, impiegandolo invece come ingrediente principale di piatti gustosi. La tradizione che voglio omaggiare è campana e, in particolare, proviene dal ramo materno della mia famiglia.
Propongo qui due ricette che raccontano altresì del ruolo delle donne nella storia del cibo e della trasmissione intergenerazionale. La tradizione familiare lungo la sua linea femminile nonché i rapporti intergenerazionali tra donne mi evocano alla mente l’immagine delle matrioske. Le famose bambole russe, variamente dipinte, con cui mi piaceva giocare da bambina. Com’è noto, dalla pancia di ciascuna viene fuori l’altra e da questa l’altra ancora. Ognuna può fare poi ritorno al suo nascondiglio ligneo, al grembo da cui proviene, scomparendo e venendo alla luce infinite volte.
Così pensate, le diverse dimensioni di ciascuna matrioska sono segno dei loro rapporti intergenerazionali. La più grande delle matrioske a cui si devono le due ricette che intendo descrivere è la mia bisnonna materna, che ha iniziato sua nuora, mia nonna materna, ai saperi culinari. A sua volta, mia nonna li ha trasmessi a figlie e nipoti – noialtre matrioske più giovani.
Ecco la prima ricetta anti-spreco: delle due, la mia preferita! Le bucce dei piselli freschi da sgranare vengono recuperate: invece di diventare pattume possono essere cucinate.
I baccelli dei piselli vengono pazientemente private del picciolo e della pellicola interna – un compito questo a cui era addetto mio nonno materno, figlio della grande matrioska succitata.
Una volta puliti, i baccelli degli ortaggi primaverili, tondi e smeraldini, vengono fritti in abbondante olio caldo. Messi nel piatto di portata, vengono conditi con sale, qualche spicchio d’aglio, foglie fresche di menta e un filo di aceto. Lo stesso condimento delle zucchine alla scapece, tagliate a rondelle.
L’altra ricetta vede, invece, protagonista la melanzana dalla forma cilindrico –allungata di colore violaceo, cioè, il tipo napoletano. Di quest’ortaggio estivo normalmente si cucina solamente la bacca, ossia il frutto. In cucina la melanzana viene cioè privata dei torsoli, materiale di scarto. Eppure, il calice della melanzana, vale a dire l’estremità saldamente unita alla bacca, una volta privato del peduncolo e del rivestimento spinoso, può essere cucinato. Come? Alla stessa maniera delle melanzane a funghetto, altro contorno tipico della tradizione campana. Così, vengono fritti e poi ripassati in un’altra padella, dove a un soffritto di aglio e olio sono stati aggiunti alcuni pomodorini. Il tutto condito con foglie fresche di basilico.
Ecco, dunque, degli esempi di cucina virtuosa e anti-spreco. Ad un altro livello, ecco un campo – la cucina – in cui si dovrebbe coltivare la memoria, affinché le giovani matrioske possano raccoglierne i frutti migliori.