Da Zero ad Antonio Dikele Distefano: la diversità è una cosa bellissima
di Martina Casentini
Antonio Dikele Distefano, giunto al suo quarto romanzo, Non ho mai avuto la mia età, è qui che si racconta e si lascia scoprire.
Giunta, con acclamato successo, alla sua seconda edizione, la rassegna letteraria Velletri Libris quest’anno, tra gli altri, per la serata del 3 agosto ha deciso di ospitare Antonio Dikele Distefano con il suo ultimo libro Non ho mai avuto la mia età.
“Ciao a tutti, io sono Antonio” ha detto appena il suo interlocutore gli ha dato la parola.
Antonio è un ragazzo di 26 anni che scrive. Arrivato al suo quarto romanzo, racconta la sua storia senza paura o vergogna. Ci dice come ha fatto, perché non vuole lasciar stare e del suo bicchiere che cerca di vedere sempre mezzo pieno: “una volta su una recensione mi hanno dato voto zero” sorride “mica uno, o due, proprio zero e io intanto ho pensato: però mi ha recensito! Per lui esisto!”
E a lui questo è bastato.
Era ancora al suo primo libro Fuori piove, dentro pure, passo a prenderti? e da allora piove sempre meno: lui ha trovato l’ombrello.
“La storia di Zero nasce da un periodo della mia vita in cui non sapevo più che scrivere” dice Antonio e, tra una canzone e un’altra, racconta di come si è chiesto “se io dovessi scrivere un libro e questo venisse letto tra cent’anni, che storia vorrei che fosse?”: e così è nato Zero, un bambino di sette anni che nella sua vita è costretto a ripartire sempre da capo, da zero, appunto.
“Quando ho scritto Fuori piove, dentro pure ho pensato: okay ho qualcosa da dire, diciamolo” e racconta di quella ragazza e di sua madre che proprio non voleva vederla con un ragazzo nero. Però oggi per lui uno scrittore non è questo, uno scrittore deve saper togliere se stesso da quello che scrive e creare qualcosa che non è solo sua: e così è cambiato, “di Antonio in Zero c’è ben poco, ma c’è tanto delle persone che ha incontrato”.
Ma poi si va avanti, non si parla più di Zero, si parla di Antonio.
Antonio non ha avuto vita facile, di andare a scuola non ne aveva proprio voglia ma ha avuto la fortuna di avere una madre che gli ha sempre detto è troppo facile: “a diciotto anni ho detto: io devo riuscire a fare qualcosa” e così ha citato un libro, un libro che gli ha cambiato la vita.
Nel libro c’è una domanda: perché gli animali e i bambini ce la fanno sempre?
I primi perché non si fermano a chiedere se la strada è giusta o se ce la faranno, i secondi perché quando sbagliano nessuno gli dice fai schifo ma anzi, gli sorride. “Ai giovani non manca la voglia, i giovani hanno paura” dice e racconta di come spesso nelle scuole si aspetta tantissime domande “ma oggi è diventato più difficile parlare e confrontarsi con i ragazzi” e con i social è ancora più difficile per loro non aver paura.
“E cosa ti chiedono tutti questi ragazzi?”
“Una foto.”
Nella sala tutti hanno riso, ma nella sala quasi tutti volevamo una foto.
Poi si va avanti, si parla di cose sempre più forti: “io oggi ho un potere – dice – il fatto che ci sono tante persone che mi seguono e leggono quello che scrivo è un potere, e vorrei usarlo per far sorgere dei dubbi”. Ed è così che racconta di una giornalista, una donna, che, finito il suo libro, gli dice di essersi sentita in colpa per tutte le volte che ha guardato un ragazzo nero e l’ha visto diverso.
E non è forse un bel potere questo?
I pregiudizi esistono, il fatto di essere nero non significa non averne, ma esistono proprio perché devono essere smontati: “mentre i grandi scappano, un bambino tocca quello che non conosce – e continua – la diversità è un vantaggio, essere diversi è bellissimo. Siamo circondati da diversità, nei libri, nelle canzoni… ma quando dobbiamo coglierla in altre persone non ci riusciamo”.
Perché?
E così, in un paese e in un periodo in cui la diversità fa paura, Antonio il diverso si racconta, lascia spazio. “Quando incontro una persona nuova dico che mi chiamo Antonio e che faccio lo scrittore, e questa persona solo in quel momento si rende conto che può esistere una persona nera, che si chiama Antonio e che può fare lo scrittore”.
In quel breve tempo trascorso mentre lui parlava ho sentito solo tanta e semplice sincerità. Le persone che erano andate solo per il buffet hanno lasciano stare i telefoni, i messaggi su WhatsApp e la home dei social, uomini e donne con il doppio della sua età erano sorpresi ad ascoltare un ragazzo che pensavano non potesse avere nulla da dire.
Antonio racconta di come ha scritto tutti i suoi libri con telefono. “Non scrivo mai un pezzo intero, ma piccole frasi e poi le metto insieme. A penna non ce la farei, perché non posso muovermi nelle mie parole”. E così, in una generazione che usa i telefoni in tanti modi: per conquistare, per informarsi, per insultare, per mostrarsi… per lui lo smartphone diventa il posto in cui creare, usare quel potere di cui in precedenza aveva parlato e di usarlo, questa volta, nel modo giusto. Nella scrittura è libero, essa gli dà cose che nella musica non riesce a trovare: “non sono solo tre minuti, un libro è la sensazione di un mese”.
“La scrittura tira fuori il peggio di me”, ed è esattamente così. Quando si scrive si è liberi, puri, si ha la sensazione che quello strumento possa far arrivare ovunque. Ed è proprio grazie a quella libertà che si trova quando si scrive, che si riesce a tirare fuori tutto.
Tutto.
Soprattutto il peggio.
Quello che altrimenti rimarrebbe attaccato dentro.
Antonio ha poi firmato le copie dei suoi fan e di quelli che fan lo stanno diventando oggi, dopo aver comprato la copia del libro di cui si era appena parlato.
La sua firma non è in prima pagina.
Nella mia copia si trova al capitolo 19.
Per dedica ha scritto la prima cosa che ha pensato quando mi ha vista.
È bello perché è una cosa mia, mentre la tua è tua.
Quando ha detto che la diversità è una cosa bellissima, penso intendeva proprio questo.