Il favoloso mondo di Adél Tirant
di Matteo Vitale
Il pop che torna alle origini. Un’escursione nella tarda modernità di quello che è stato il panorama della canzone popolare dagli chansonniers francesi ai cantautori italiani fino ai ritmi sudamericani.
Adél Tirant ridona una pluralità al pop che nella produzione di massa si stava perdendo. Se prima la musica popolare era tipica dei luoghi e ne rispecchiava anche la personalità, oggi è diventata un modello unico per tutti.
La cantante emergente Adele Tirante, in arte Adél Tirant, ha provato a rispolverare quel repertorio. Questa scelta di un nome d’arte francese può sembrare un vezzo ottocentesco, invece è un modo per giocare con se stessa e con le sue origini. Infatti Adél è nata a Nizza ma quella siciliana. Il suo primo singolo estratto dall’album che uscirà in autunno si chiama Un homme qui me plait comme toi. In questo singolo si può già percepire lo stile ricercato, non tanto nei virtuosismi tecnici, ma dentro se stessa, cercando la voce giusta per esprimere il suo modo d’essere. Il risultato è un ottimo compendio della musica popolare novecentesca dove si sentono echi della Piaf e le colonne sonore storiche dei cartoni animati.
La canzone ha un’atmosfera fatata da Trilli di Peter Pan, è allegra ma parla di una situazione triste, così da far ridere e lasciare un sapore agrodolce. Fa venire voglia di fischiettare e saltellare contemporaneamente.
Questo stile di Adél, che prende poco sul serio la tristezza canzonandola con ironia, può rappresentare anche il contenuto del messaggio, che una canzone lancia inevitabilmente anche indirettamente.
“Le delusioni d’amore sono amare, dure da far passare – spiega la Tirant – guardandole, però, con leggerezza e spirito vignettistico, tutto diventa più semplice”. Sembra volerci dire che fare la caricatura interiore di un momento triste aiuta a superarlo. Ecco cosa traspare anche dal video dove Adél è una sirena seduta sul trono di conchiglie e racconta di questo amore fuggito via chissà dove.
Il video di Un homme qui me plait comme toi realizzato dal regista Umberto Petrocelli utilizza la tecnica green screen ripercorrendo con giochi cromatici gli stili anni ‘80 e fiabeschi.
Adél proviene da una lunga gavetta fatta di tanti concorsi, è arrivata finalista ai concorsi “Gli ascolti del Tenco”, “Martelive 2011”, “Fondiamo il talento 2011”, “Musica controcorrente”; partecipa al programma di Web Radio Rai “Via Asiago live” e “Valprimomaggio”, semifinalista a “Musicultura”, nonché premio della giuria universitaria.
Nel 2011 incontra il musicista Giovanni Paolo Liotta, con cui mette in piedi il progetto Madeleine & Die Kreatur e si fa interprete di canzoni tedesche anni ‘20.
Nel 2016 vince il premio come migliore interprete al concorso “Ugo Calise Festival” diretto da Giovanni Block; a fine 2016, nei suoi live, comincia ad accompagnarsi con l’autoharp, strumento della tradizione folk americana.
La predilezione per il francese proviene anche dalla sua grande passione per Edith Piaf della quale è diventata interprete portando in giro per i teatri il concerto-spettacolo chiamato Padam padam dedicato proprio al Passerotto di Parigi.
L’atmosfera fiabesca vintage-glam del video ricorda un po’ la leggerezza di Georges Méliès e del suo Le voyage dans la lune. A tutti mancano quelle canzoni senza tempo che appena ascoltate diventavano parte integrante della quotidianità. Negli ultimi tempi sembrava che le canzoni si bruciassero subito, avendo poco respiro, che quella capacità di ronzare nella testa a distanza di anni dall’ultima volta che le hai ascoltate fosse andata persa. Sembra più facile fare un grande successo che una canzone così che non passa mai di moda (spesso non essendo mai stata di moda).
Adél sembra voler andare a setacciare cosa rendesse magiche quelle canzoni tanto che ancora oggi sembrano insuperate. Si è un po’ persa quella leggerezza simile alla polvere magica che sprizzava dalle canzoni popolari, quell’aura, direbbe Benjamin, che dava l’impressione di sospenderti a mezz’aria.
Oggi le canzoni assomigliano più a rulli compressori di concetti complessi, dove come in un insaccato tutto il contenuto viene ficcato brutalmente in una sacca, costretto a entrare in un luogo angusto dove la bellezza sfiorisce nella foga di caricare troppo un prodotto. Così escono sempre più spesso dissonanze aggressive che hanno come unico compito quello di colpire, in senso letterale.
Un tempo si diceva di un quadro che fosse “un pugno in un occhio”. Siamo solo scesi di livello e il pugno adesso arriva in pancia provocando conati.
Adél ha scelto altro.
Una strada lunga e impervia ma che potrebbe dare maggiori soddisfazioni.