La riforma del Terzo Settore: per saperne di più…
di Francesco Di Marzo
Non profit? Sì, ma con norme e leggi. Dal punto di vista dello sviluppo economico e del processo di crescita dell’economia, una forte spinta propulsiva, anche per il prodotto interno lordo, viene data dal cosiddetto “terzo settore”. Non l’agricoltura, non l’industria, ma i servizi, per spiegarlo in termini estremamente semplici e immediati.
Il terzo settore, allo stato attuale, in tutto il mondo e in Italia, come detto, costituisce una parte importante dell’economia di un paese. Ed è proprio per questo che è molto utile una sua regolamentazione, che ne ridefinisca confini e ambito di applicazione.
Chiariamo un aspetto importante: cosa si intende per impresa no profit? Un’impresa che investe i propri utili a fini organizzativi, completamente senza scopo di lucro, quindi non destinata alla realizzazione di profitti. Il Consorzio Proodos ne è un esempio importante, che si occupa di servizi del terzo settore ovviamente, nello specifico il welfare, soprattutto nell’ambito sanitario, educativo ed anche di inserimento socio lavorativo di persone svantaggiate.
A queste imprese si applica la disciplina prevista per le Organizzazioni non lucrative di utilità sociale, cioè le ONLUS, che abbracciano gli ambiti più disparati, come beneficenza, istruzione, promozione della cultura e dell’arte. La nuova riforma tuttavia, prevede per queste associazioni l’iscrizione obbligatoria nel Registro Unico nazionale del Terzo Settore, fino all’effettiva entrata in vigore della norma
Il legislatore italiano ha iniziato a trattare la materia in maniera più approfondita e specifica dal 18 giugno 2016 con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge 106/2016, la legge delega al Governo per la riforma del Terzo Settore, fino all’emanazione di tre decreti attuativi della riforma in esame, aventi ad oggetto sia l’istituto del cinque per mille, sia l’impresa sociale e soprattutto l’introduzione del codice del terzo settore, allo scopo di definire il corpo normativo del settore stesso, culminata il 2 agosto, data di pubblicazione definitiva dei decreti attuativi della riforma in esame.
Questi decreti, in sostanza, non fanno altro che lasciare immutato ciò che è stato fatto finora, confermando l’introduzione del Codice del Terzo Settore, importante strumento normativo: l’articolo 4 comma 1 ne dà una definizione, escludendo tra l’altro le pubbliche amministrazioni e le associazioni politiche.
Come ogni società e come ogni associazione che possa essere definita tale, sono assoggettate alla disciplina delle imprese per quanto riguarda l’iscrizione nei registri, la denominazione sociale e la tenuta della contabilità e del bilancio.
Tra gli altri punti importanti della riforma, rientra senz’altro il Registro Unico del Terzo Settore, strumento che verrà aggiornato e gestito dalle singole Regioni, ma che utilizzerà un’unica piattaforma nazionale; ciò è finalizzato soprattutto all’accorpamento dei registri finora esistenti.
Un focus importante va sicuramente alla disciplina dell’impresa sociale e delle cooperative, in particolare: “possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private, incluse quelle costituite nelle forme di cui al libro V del Codice Civile, che esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. L’art. 2 del decreto specifica le attività di interesse generale, le quali corrispondono sostanzialmente a quelle già indicate per gli ETS all’art. 5 del CTS, con l’aggiunta del microcredito di cui all’art. 111 del D.Lgs. 385/1993 e l’eliminazione di alcune attività di carattere non imprenditoriale.”
Dunque un ampliamento del campo del settore impresa sociale, ma soprattutto una distribuzione più equa degli utili e degli incentivi all’investimento di capitale, in termini di regimi fiscali: infatti il 30% dell’investimento potrà essere fiscalmente deducibile o detraibile allo stesso modo di come avviene per le startup innovative tecnologiche[1]
Pertanto, enti privati o società che esercitano in forma stabile una o più attività di interesse generale in forma d’impresa senza scopo di lucro per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, acquisiscono forma di impresa sociale, così come le cooperative sociali e i consorzi.
Ma l’introduzione del codice del terzo settore, che ha ridefinito lo stesso concetto di impresa sociale e soprattutto il servizio civile universale, ha contribuito ad indirizzare nella giusta direzione l’iter di riforma.
Tuttavia, è importante chiedersi adesso, alla luce di questa riforma, se la mission delle cooperative, in particolare proprio l’impresa sociale, possa comunque dirsi agevolata oppure in qualche modo ostacolata dalla riorganizzazione normativa appena entrata in vigore. Sicuramente è importante ridefinire l’assetto normativo, ma ancora più importante è rilanciare e sottolineare il focus principale delle cooperative, e cioè il fine umanitario.
Può una riforma del genere contribuire ad esaltare e a rimarcare gli obiettivi e le finalità che il Consorzio Proodos e le aziende consortili in generale intendono realizzare???