I Parassiti del commercio solidale
Passeggiando tra gli stand della V edizione di Ricomincio dai Libri, la fiera del libro napoletana tenutasi presso il Museo Archeologico Nazionale, la nostra attenzione è stata catturata, tra gli altri, da uno stand che proponeva esclusivamente titoli lontani anni luce dalla solita narrativa. È importante, soprattutto in una società come quella odierna, sensibilizzare le coscienze delle persone per fare in modo che si prendano cura di ciò di quanto più prezioso ci sia stato concesso in dono: noi stessi e il pianeta su cui viviamo.
Per questo motivo E’ Pappeci, hanno allestito un’esposizione di saggi a tematica sociale e ambientale ma anche di volumi che offrissero percorsi di crescita spirituale. Una scelta particolare, determinata soprattutto dai valori in cui l’associazione crede fermamente e che vuole cercare di diffondere il più possibile come parte integrante della nostra vita quotidiana. A questo proposito abbiamo discusso con Giovanna Franzese, giovane e risoluta socia che presenziava alla fiera in veste di espositrice.
Per cominciare, parlaci un po’ di voi.
“Siamo una cooperativa sociale che svolge la sua attività sul territorio napoletano da vent’anni. Contiamo due sedi, una recentemente trasferita a via Mezzocannone 103 e l’altra a via Orsi nella zona Vomero-Arenella. Il nostro nome viene dal detto dialettale che recita “dicette o pappece nfacc a noc, ramm o tiemp ca te spertos”.
Il “pappece”, che è un animaletto molto piccolo e infestante che si trova soprattutto nella farina e nella pasta, dice alla noce: “anche se sei dura, dammi tempo perché io ti riuscirò a scavare” e questo rappresenta per noi la parafrasi della nostra mission, del fatto che pian piano un’economia alternativa a quella tradizionale può andare a scardinare il mondo, che in maniera figurata è la noce. All’interno di questo proverbio è racchiuso quello che siamo e quello che facciamo: siamo una cooperativa che sostiene il commercio equo e solidale.”
Puoi spiegarci cos’è il commercio equo e solidale?
“Si tratta di un movimento sviluppatosi tanti anni fa ormai, che professa un tipo di economia contrapposta a quella delle multinazionali, che nel tempo sono andate nei Paesi del sud del mondo e hanno sfruttato all’inverosimile sia i territori che, soprattutto, le persone.
Il commercio equo nasce proprio per sviluppare un’economia che metta in primo piano la persona e il lavoratore. Il produttore non è più l’ultima ruota del carro, bensì la prima: si garantisce al produttore una retribuzione equa rispetto al suo lavoro.
Quella della retribuzione è la dinamica sfruttata dalle multinazionali per ottenere il massimo guadagno sui prodotti, perché pagando zero la manodopera, chiaramente tutto il resto diventa guadagno per gli intermediari, i pubblicitari e per chi rivende.
Il commercio equo invece, lavora appunto per azzerare tutte le tappe intermedie del processo produttivo e creare un circolo un po’ più “virtuoso”, aspirando al contatto diretto tra il consumatore e il produttore.”
Quali prodotti trattate?
“Sono tantissimi. Noi abbiamo un contatto diretto con le centrali d’importazione (ad esempio Altromercato, di cui noi siamo soci) che grazie a un comitato merci scelgono il produttore e valutano i prodotti. Nel tempo la cosa si è affinata aggiungendo anche il rispetto di alcuni criteri ambientali come la lotta all’ utilizzo di colorazioni tossiche, pesticidi, diserbanti…
Lavoriamo sia sul settore artigianato che su quello alimentari. Abbiamo di tutto: dal caffè al cioccolato (i prodotti tipici delle zone che sosteniamo), ma anche pasta, salse, biscotti, cereali, legumi, tè, tisane… Con l’artigianato purtroppo lavoriamo sempre meno ma i progetti che lo riguardano sono altrettanto belli perché si lavorano ancora materie prime interamente naturali come la foglia di palma, il sinamay, il feltro, l’alpaca… le produzioni sfruttano ancora l’artigianalità sia dei mezzi che della progettualità come nella tessitura con il telaio a mano o nel block printing per realizzare stampe su tessuto.”
E per quanto riguarda invece i prodotti locali?
“Anche sul nostro territorio si sta cercando di recuperare, insieme agli artigiani napoletani, un meccanismo in grado di salvarci da un’industrializzazione estrema.
Pian piano abbiamo incominciato a renderci conto che il Sud del mondo è sempre più vicino a noi e quindi abbiamo conosciuto tantissime persone che producono rispettando gli stessi criteri del commercio equo. Per questo nelle nostre botteghe offriamo anche molti prodotti a kilometro zero, di piccole aziende agricole formato famiglia o di aziende locali che hanno incominciato ad associare a prodotti locali i prodotti del commercio equo. È bello anche ricostruire una sorta di “tipicità”, spingendo sui prodotti della nostra terra, dare forza alle nostre economie, se sono pulite.”
Come possiamo fare a sostenervi?
“Noi siamo nati prima come associazione (quindi gruppo informale) che allestiva banchetti nelle parrocchie e per strada nelle feste di paese, per cercare di sostenere le nostre attività. Poi “ci siamo fatti un po’ più grandi” e siamo diventati una cooperativa, principalmente perché avevamo la voglia di offrire dei posti di lavoro all’interno delle nostre botteghe.
Siamo affiancati anche da tanti volontari, perché il commercio equo, per la marginalità che ha sui prodotti, non è un’attività che si auto-sostiene e quindi veniamo aiutati a gestire le botteghe, ad andare nelle scuole a presentare e a portare avanti i nostri progetti, ad andare nelle fiere come questa per cercare di sensibilizzare il pubblico.
La nostra idea è che il prodotto che noi andiamo a vendere, che in realtà sembra anche l’operazione principale che noi andiamo a compiere, sia un veicolo per far passare diversi messaggi. Attraverso quel prodotto noi tentiamo di spiegare alla gente che dietro il suo acquisto ci deve essere un ragionamento.
Acquistando nel mondo attuale facciamo ogni giorno delle operazioni di tipo politico, delle scelte politiche. Scegliamo di stare da una parte o dall’altra. Noi non siamo degli estremisti, vorremmo solo che il mondo fosse consapevole.
Anche se si sbaglia a comprare, che lo si facesse con la consapevolezza di appoggiare la multinazionale di turno, che mentre si traveste da soggetto buono creando dei marchi fair trade o equi, in realtà lucra sul lavoro minorile, non concede alcuna garanzia ai produttori, mantiene fabbriche in cui non è rispettato il minimo diritto umano. È bene che ognuno abbia questa consapevolezza, e poi possa decidere deliberatamente.
Siamo qui con la casa editrice Altreconomia perché è una di quelle che fa una selezione di scrittori che lavorano e sviluppano titoli perfettamente in linea con tutti gli ideali che sosteniamo.”
Com’è nata questa “vocazione”, se così possiamo definirla?
“Vocazione mi sembra davvero il termine giusto. La mia è nata quando ho incontrato un gruppo piccolissimo che si occupava di commercio equo in un paesino della provincia di Napoli e ho incominciato a collaborare per la realizzazione prima e per il mantenimento poi della piccola bottega che avevamo aperto.
Quello che mi ha stupita è il fatto che per quanto dall’esterno possa sembrare un semplice negozio, con tanto di cassa e commessi, una quantità di persone che entrano all’interno di una bottega con una sensibilità estremamente differente da quella con cui entrerebbero in un negozio “normale” e se non lo fanno da subito lo faranno poi perché si avverte in maniera tangibile il fatto che tu non stai solo vendendo cose, ma anche raccontando storie.
Per quanto riguarda ‘E Pappeci invece, i fondatori sono persone che oggi hanno 70/80 anni e che sono partite anche loro con banchetti e affiliazioni varie. Siamo passati poi per una sorta di bazar, prima di arrivare a quella che oggi è una bottega vera e propria. E non abbiamo intenzione di fermare il nostro processo di evoluzione perché bisogna sempre continuare ad attualizzare tematiche che potrebbero risultare antiquate modificandole e modificando anche il nostro modo di porci verso l’esterno.”
di Rossana Iannotta