Il dolore
di Benedetta De Nicola
Ho preso il dizionario dalla libreria e me lo sono portato sotto il braccio sinistro. Pesa molto meno di quanto potessi immaginare. Una volta arrivata a quel punto, l’ho appoggiato a terra e ci sono salita su in punta di piedi, tutta tremante.
Quella donna illuminata da un raggio d’alba, capelli legati con il mollettone, viso verso il vento, quella donna era lenta. Produceva piccole note di movimento, il collo verso destra, i polpastrelli sulle ciocche nere. Lenta come la morte, forse lei stessa lo era. Se fosse stata la morte avrebbe ticchettato come una bomba a tempo, sarebbe stata acquattata aspettando di agire, lenta e definitiva.
Non fu quella la morte. Cingeva i suoi seni un leggero velo fermo, lei, sempre accorta, lo manteneva con la mano libera all’altezza della bocca dello stomaco, singolare luogo di perdizione. Forse maturo, non diffuso. Le emozioni mature sono più rosse, più grosse e cadono prima dall’albero, forse quella donna era la Madonna stanca di essere Vergine, forse era solo una santa qualsiasi che purificava il proprio corpo dallo stupro che l’uomo fa dell’amore. Avrei voluto esserle più vicina, controllare se possedeva dei nei minuscoli sul volto, scansarmi, se avesse voluto. Invece sono qui, dietro questo muro, in punta di piedi ad osservare da lontano.
Mi rassegno perché sono piccola, ho un caschetto quasi maschile, piccole ciabatte blu e un dizionario, poggio i piedi sul mio IL e salto giù, lo rimetto sotto il braccio sinistro e torno indietro.
Dall’alto, in cima a una pila di dizionari, penzolano delle scarpe blu. Un sorriso e poi la testa sul foglio.
Il neo ce l’ha sul labbro superiore.
disegno di Alberto De Vito Piscicelli