La Salomè di Oscar Wilde nelle mani di Luca De Fusco: un incontro tra sperimentazione e classicismo
Oscar Wilde scrisse il suo atto unico intitolato Salomè nel 1891, durante una permanenza in Francia.
La lingua originale dell’opera è, infatti, il francese. Essa fu successivamente tradotta in inglese dall’amante di Wilde, Lord Alfred Douglas.
Il personaggio omonimo, nonché protagonista del dramma, fu pensato per essere interpretato dalla grande attrice dell’epoca, Sarah Bernhardt; la veterana rifiutò la parte di Salomè in seguito ai continui attacchi e scandali che coinvolsero Wilde in quegli anni.
Luca De Fusco, regista teatrale e direttore del Teatro Stabile di Napoli, cura e allestisce l’opera di Wilde in versione modernizzata, rivelandone le magie e le maledizioni durante la rassegna Pompei Theatrum Mundi, nell’estate del 2018.
Il successo raggiunto dal riadattamento lo riporta sul palco del Teatro Mercadante – e tanti altri palchi d’Italia – durante la stagione teatrale 2018/2019.
La trama dell’opera, tratta da un passo biblico in cui il nome della protagonista non viene menzionato, è squisitamente wildiana: Salomè, bellissima principessa vergine, figlia del Re di Giudea Erode e della regina Erodiade, scopre il desiderio sessuale e la frustrazione del rifiuto quando s’infatua di Iokanaan (Giovanni Battista). Iokanaan è un profeta, un uomo di Dio, la sua carne “… bianca come un giardino di gigli” e le sue labbra rosso vermiglio sono interdette ai piaceri terreni, alla sessualità nascente della giovane principessa di Giudea.
Ma Salomè, oggetto del bruciante desiderio degli uomini della sua corte – tra i quali spicca il suo stesso patrigno, Erode – non è disposta al rifiuto del suo agognato sesso, all’essere insultata, ripudiata, strappata al suo stesso bisogno così fisicamente urgente, immediato.
Iokanaan è un uomo che ha visto Dio, Erode lo tiene prigioniero perché ne ha paura, rispetto, quasi timore reverenziale. Ma Salomè lo vuole, necessita e promette: “Bacerò la tua bocca, Iokanaan, bacerò la tua bocca”.
Il tropo della donna rifiutata e della sottile brama di vendetta insita nel gentil sesso torna qui utile, a conclusione della tormentata vicenda: Salomè manipola con la seduzione il Re Erode, facendosi promettere il mondo in cambio di una danza. Salomè però non vuole il mondo, né la metà del regno di Giudea, ma solo la testa di Iokanaan su un vassoio d’argento. Ed è quello che otterrà, nonostante le lamentele e i pianti del vecchio Re.
La purezza bianca, di raggio di luna (immagine che viene spesso associata a Salomè nel testo di Wilde e De Fusco) si spegne, l’innocenza di Salomè muore, così, rivelandola in tutta la sua viscerale e carnale femminilità. E Iokanaan, uomo santo, profeta, muore una morte insensata, passiva, banale. Iokanaan, portavoce del Messia, muore per il capriccio di una giovane donna viziata veicolata dai suoi istinti più bassi, vinta dal suo ferino, incontrollabile bisogno di dominio.
La reinterpretazione di De Fusco riporta con pedissequa coerenza gli sviluppi narrativi dell’intreccio originale, giocando con l’attenzione del pubblico attraverso stratagemmi sensoriali, ovvero legati allo sguardo e all’udito. La possente, moderna, elegante scenografia si fa tela per le luci bianche, brillanti, lunari che investono i personaggi. La splendente, quasi robotica Salomè di Gaia Aprea è costruita attraverso i contrasti cromatici e l’illuminazione sapiente, che la rendono figura evanescente ed inquietante, nervosa ed eterea. La sua danza di seduzione ricorda l’apparizione dell’alter-ego malvagio della Maria di Fritz Lang in Metropolis, una femme fatale demoniaca e dominatrice, senza anima.
La recitazione eccellente, ipnotica ed il dialogo strutturato, serrato, danno un corpo propriamente teatrale – nel senso più classico del termine – alla messa in scena. Il pubblico si trova davanti ad una vicenda assimilabile, comprensibile, decifrabile.
La presenza di Eros Pagni funge da connettore con una tradizione declamatoria della recitazione italiana senza correre il rischio di ricadere in banalizzanti arcaismi o retoriche retrograde. Erode è il personaggio cardine, senza i suoi umori e le sue fragilità, la sua ironia appena percepibile e il suo scontento, la storia non si svilupperebbe, non si evolverebbe. Pagni comunica tutto questo con infallibile efficacia, catturando l’audience in una trance incantata.
Tuttavia, la vera carica innovativa, quella che lascia una traccia indelebile nell’inconscio e nell’immaginario dello spettatore risiede in una serie di segni, di movimenti, di figure geometriche e luminose, di soluzioni sceniche e spazi vuoti da colmare che trasformano una storia classica adattata al teatro in uno spettacolo sperimentale che dice l’indicibile.
Uno spettacolo che si limita a comunicare emozioni senza la spinta a definirle, ad imprigionarle in una sterile dottrina. La luna di sangue, i movimenti meccanici di Salomè, le musiche di Ran Bagno, i suoni, il delirio del reggente che testimonia allo scempio della figliastra, le teste mozze di Iokanaan e della stessa Salomè, sono tutte evocazioni di stati d’animo puri, intraducibili.
Luca De Fusco, con la sua regia esperta e creativa, riesce ad implementare un meccanismo funzionante e nuovo, fedele allo spirito e all’umore del materiale originale ma anche pullulante di ricchi richiami post-moderni, insoliti e disturbanti.
di Sveva Di Palma