Mark Chapman: diario di un assassino
di Francesco Ferdinando Veneruso
La mente di un assassino funziona davvero in modo deviato, o diverso dal normale?
Il male è qualcosa di innato, o sono le vicissitudini della vita, a generare in persone apparentemente equilibrate, deviazioni mentali che agli occhi degli altri appaiono in quanto tali, ma che nella mente afflitta da tali sofferenze, sono in realtà le normali conseguenze di un lucido, seppur drastico ed esasperato, ragionamento logico.
Solo inoltrandosi nella mente di un assassino, di un presunto “folle”, si potrà comprendere il ragionamento logico che lo ha condotto fino a compiere un tale gesto. Proviamo a entrare nella mente di uno dei più famosi assassini della storia: Mark Chapman si dimostra sin da piccolo un ragazzo particolare.
Molto socievole e ben integrato a volte, totalmente assente ed introspettivo in altri momenti.
L’avvenimento che più segnò la sua infanzia, fu senza dubbio l’esibizione dei Beatles all’Ed Sullivan Show, che nel 1964 sconvolse il pubblico americano. I Fab Four, accolti a New York City da una massa di adolescenti urlanti, che furono subito definiti quali “Beatlemaniaci”, fecero registrare degli ascolti record, con più della metà del pubblico statunitense che seguì in televisione la loro esibizione.
Chapman ricorda di aver costretto suo padre a comprargli il primo disco del quartetto di Liverpool, il famoso Meet The Beatles, che corrisponde ad una sorta di best of dei primi due dischi edizione europea della band, ovvero Please Please Me e With The Beatles. Fu sulla copertina di quel disco che vide per la prima volta il volto dell’uomo che avrebbe ucciso.
Crescendo anche Mark come tutti gli altri della sua generazione, si avvicinò all’ ideologia Hippie, e verso la fine degli anni ‘60, e l’inizio degli anni ‘70, professava con tanti altri amici la pace e l’amore, e venerava gli eroi della controcultura, tra i quali ovviamente il generale capo era esattamente John Lennon. Un giorno però, dopo essersi intrattenuto con degli sconosciuti in spiaggia ad L.A., accortosi che qualcuno aveva frugato nel suo portafogli, cadde in una profonda crisi depressiva.
Mark ricorda che si sentì un totale nessuno, sentì che ciò che amava, l’identità che in tutti gli anni della sua adolescenza si era costruito, perfino il suo idolo, avevano qualcosa di estremamente sbagliato. Così sentì il fortissimo bisogno di affidarsi a qualcosa di nuovo, e dare nuove direttive alla sua vita, ed iniziò a pregare Dio. Lo sentì così vicino, che pur non uscendo mai realmente da questa depressione, riuscì a trovare nuove motivazioni per vivere. Si dedicò a vari lavori, tra i quali quello di guardia giurata, che costringendolo a passare giornate intere in solitudine, lo fece cadere in una stato di psicosi depressiva intensa, che lo portò a tentare il suicidio, concludendo senza successo l’atto. Decise così di ricoverarsi in un ospedale psichiatrico, ma dopo soli tre giorni di terapia, recuperò così tanto le sue energie mentali da operarsi in aiuto degli altri pazienti della clinica e attirarsi le benevolenze degli impiegati dell’ospedale, tanto che gli garantirono dopo averlo rilasciato, un posto di lavoro all’interno dell’ospedale. Fu un periodo di felicità per Mark al quale però si sottrasse inspiegabilmente per tornare al suo vecchio lavoro, e alle sue manie e nevrosi. Fu in questo momento che Chapman cambiò di nuovo figura di riferimento per la sua vita.
Mentre lavorava come guardia giurata in una biblioteca si imbatté per caso in una copia di The Catcher In The Rye libro scritto dall’autore americano J.D. Salinger e conosciuto in Italia con il nome Il Giovane Holden. Il libro fu per lui una nuova salvezza, e il ragazzo si identificò completamente con il protagonista del racconto, a tal punto da sentirsi egli stesso Holden Cauldfield. Fu per lui una rivelazione, tanto che si adoperò immediatamente, terminata la lettura, per trovare qualcos’altro di simile. Mentre cercava, però, trovò un album fotografico che raffigurava proprio il suo vecchio idolo.
Lennon infatti, che si era trasferito a New York con la sua seconda moglie Yoko Ono, per scappare dai tabloid britannici che lo torturavano, veniva immortalato felice sotto la statua della libertà e in altri luoghi iconici della Grande Mela. Mark Chapman, che per tutta la sua vita aveva guardato quell’uomo con grande ammirazione, ora si trovava a provare solo un profondo disprezzo.
In seguito si recò a New York, in pellegrinaggio nei luoghi narrati da Salinger, e mentre passeggiava per strada si imbatté proprio nella limousine del cantante britannico.
Ormai era deciso, ciò che avrebbe dato senso alla sua vita era assassinare John Lennon. Si appostò sotto il Dakota Building, dove Lennon risiedeva e attese; quando il cantante uscì, però, al posto di ucciderlo, si fece firmare una copia dell’ultimo lavoro in studio, intitolato Double Fantasy e qualcuno fu così previdente da immortalare il momento con una fotografia.
Fattasi sera, Chapman che era rimasto in attesa sotto l’edificio appena fuori Central Park, non appena vide Lennon, di ritorno da una sessione di registrazione in studio, prese la mira e sparò tre colpi contro il cantante che entrò così, per sempre nel mito.