C’era una volta la Repubblica di Napoli
di Raffaele Iorio
Il 22 ottobre del 1647 venne proclamata la Repubblica di Napoli. Una favola ricca di contraddizioni di cui si ignorano buoni e cattivi.
La favola che sto per raccontare è una favola atipica. Atipica perché di una favola si conoscono buoni, cattivi, aiutanti e coloro i quali ostacolano le vicende dell’eroe. Quella che sto per raccontarvi è una favola, atipica, perché nasce come tale per poi tramutarsi ben presto in un incubo.
Tutto ebbe inizio il 7 luglio del 1647, il popolo napoletano insorse a causa della pressione fiscale sempre più alta. Alla guida dei rivoltosi c’era Masaniello, primo elemento di spicco della nostra storia.
Tommaso Aniello d’Amalfi, meglio conosciuto come Masaniello, era un pescivendolo napoletano. C’è chi lo definirebbe un eroe e chi soltanto un camorrista violento. Intorno alla sua figura si è creato un vero è proprio mito che ha fatto di lui, durante il corso della storia, talora un grande eroe, altre un villano rozzo e violento. Ma chi era quest’uomo veramente? Molti sono i dubbi circa la sua vera natura. La storia ci racconta che, a pochi giorni dallo scoppio della rivolta, Masaniello sia divenuto sempre più violento e pazzo. Colpa della sua natura incline alla violenza? Della forte pressione dovuta ad un ruolo di responsabilità? O della congiura ordita alle sue spalle?
Supposizioni affermano che Masaniello fu invitato spesso a cena dal viceré e qui sarebbe stato drogato con delle bevande fatte apposta per provocare atteggiamenti di follia. Può essere questa la verità?
Certo è che fu ucciso il 16 luglio, forse, da alcuni vicari del viceré.
A questo punto la trama si fa più fitta.
Probabilmente fra i mandati dell’omicidio ci fu Giulio Genoino.
Genoino fu la mente di Masaniello.
Nel 1620 aveva già scritto un manifesto in cui, in forma del tutto legale, proponeva maggior equità tra l’aristocrazia e cittadini. È in questo manifesto che si può parlare di favola. Favola perché in questo scritto c’è un’ideologia positiva che costò addirittura il carcere al suo autore. Uscito di prigione, poi, Genoino provò di nuovo a rivendicare le sue idee animando la rivolta del 1647. Anche se, inizialmente, il tumulto non aveva mai messo in dubbio il dominio del sovrano spagnolo, cosa rimase di positivo? La favola si tramutò in incubo quando gli interessi personali si fecero valere con la forza e con la violenza. Genoino si macchiò di un omicidio?
La storia insegna che dietro alle quinte di grandi ideologie non sempre ci sono uomini del tutto onesti. Ciò era comune a tutte le grandi rivolte.
Ma le vicende negative si intensificarono con l’istituzione della repubblica. Il termine repubblica dovrebbe far pensare ad un lieto fine ma invece? È qui che inizia l’incubo.
Così entra in scena l’ultimo personaggio di questa storia intricata: Enrico II di Lorena Duca di Guisa.
Enrico di Lorena fu chiamato dai capi della rivolta come reggente della repubblica. Al momento della sua proclamazione la realtà di quello che fino al giorno prima era stato il regno di Napoli era davvero disastrosa. Un regno gettato nelle mani di una nobiltà corrotta. Ma questa flebile realtà non durò a lungo.
Era il 5 aprile del 1648, le truppe spagnole entrarono a Napoli uccidendo centinaia di popolani, lasciando liberi molti esponenti della nobiltà che molto avevano contribuito allo scompiglio. Era la fine di una piccola parabola, una parabola ricca di contraddizioni dove a farne le spese, come spesso è successo, sono stati gli esponenti del popolo.
Gli stessi che stando a ciò che era stato scritto, se favola fosse stata, avrebbero finalmente goduto di maggiori diritti.