Incontro con Bruno Senese: l’anima delle tradizioni ha il suono del tamburo
di Rebecca Grosso
Far sopravvivere una tradizione oggi diventa sempre più difficile, interessare le nuove generazioni alla sua storia anche di più. C’è chi, però, della sua passione ha fatto – oltre che una professione – una vera e propria missione di vita: trasmettere l’anima dei valori di un tempo. Così ci sono in area vesuviana persone come Bruno Senese, artigiano e componente del gruppo musicale SuoniLavici, attive soprattutto nelle scuole, oltre che nella comunità e nelle parrocchie.
Noi de La Testata – Testa l’Informazione abbiamo avuto il piacere di incontrarlo, in occasione della sua presenza all’open day dell’Istituto Comprensivo Tenente Mario De Rosa, e di parlare con lui della sua esperienza, del suo obiettivo e del messaggio che cerca di tramandare ai giovani.
Bruno Senese si definirebbe quasi un “artigiano artistico”. Della sua passione, infatti, ha scelto di abbracciare ogni aspetto fino a renderla una professione, a partire, quindi, dalla realizzazione dei suoi stessi strumenti. Bruno è uno dei tre componenti di base del gruppo musicale SuoniLavici, che conta dai tre ai sedici elementi, legati alle tradizioni vesuviane e del Sud Italia in generale.
Il gruppo nasce dalle zone di Pomigliano D’Arco e Sant’Anastasia come un gruppo di giovani amici con un obiettivo comune. Ciò che lo ha caratterizzato fin dall’inizio è stata l’idea dell’evoluzione: a differenza dei soliti gruppi di musica popolare, i SuoniLavici si sono sempre ripromessi di reinventare le canzoni della tradizione, riarrangiandole e rendendole uniche nel loro genere, suonandole in maniera diversa, nuova ogni volta.
Il gruppo è composto da tre elementi di base: Bruno si occupa di tamburi e tamburelli, Barbara Radi del cantato e Michele Iaccarino di diversi strumenti. Il livello a cui sono arrivati oggi è altissimo: Barbara e Michele sono due figure estremamente professionali ed esperte del mondo musicale della tradizione e dei giorni d’oggi.
I tre membri formano una squadra più che vincente: Barbara si occupa dell’engagement e dell’aspetto economico, Bruno e Michele della parte tecnica, quindi a partire dalla SIAE fino all’organizzazione del palco, ricerca dei fonici – da palco e da sala – e tecnici delle luci. Nonostante la frequenza bassa degli spettacoli, che sono più concentrati nel periodo estivo piuttosto che in quello natalizio, Bruno riesce a sostenersi grazie ai suoi spettacoli ma anche con la costruzione di tamburi.
L’artigiano suona sia tamburi che tammorre, ma ha scelto di specializzarsi nella realizzazione di tamburi per la loro sonorità e le incredibili capacità e possibilità di questo strumento che spesso viene sottovalutato, prediligendo l’acquisto di un tamburo commerciale non conoscendo l’estrema connessione che si può stabilire con lo stesso, se fatto su misura per te.
Proprio come un sarto cuce su di te i tessuti, Bruno ha la sua tecnica per creare, ogni volta, a ogni commissione, il tamburo perfetto – e direi che possiamo anche fidarci delle sue parole, se un artista del calibro di Piers Faccini (che che ha realizzato un cd con Ben Harper) è venuto proprio qui, in area vesuviana, dall’America, per avere un suo strumento.
“Il tamburo viene costruito su di te, viene ideato sulla tua voce”.
Bruno ha una memoria uditiva particolare e per costruire i suoi tamburi memorizza il tono di voce del committente invitandolo a casa sua e conversando con lui per diverse ore, parlando di qualsiasi cosa, facendolo ridere o commuovere, al fine di cogliere ogni sfumatura, tutti gli alti e bassi, della sua voce. “È proprio da lì che esce fuori il tamburo”.
I tempi di realizzazione sono di circa un mese, tra concia della pelle e realizzazione della struttura in legno. Bruno ha un rapporto particolare con entrambi gli elementi di questo strumento: non ha mai una grande quantità di pelli disponibili, essendogli esse procurate da pastori fidati, che scelgono l’animale da cui proverranno seguendo determinati parametri – la capra deve essere non solo femmina, ma anche anziana, quindi non più in grado di allattare; per quanto riguarda la struttura, lui crede che il legno sia un elemento vivo, che sia il cerchio a venir fuori dal legno e non il legno a essere lavorato per farne uno.
Si intuisce, quindi, quanto un pezzo simile sia unico nel suo genere, irriproducibile in alcun modo. Un tamburo commerciale potrà essere facilmente reperibile, essere utilizzato comodamente da chi si approccia per la prima volta a questo strumento, ma averne uno fatto ad hoc per le proprie esigenze non ha prezzo.
L’idea dell’artigianato gli è stata tramandata da sua nonna, che si occupava della concia delle pelli, ma il resto è stato da lui appreso da autodidatta, a seguito della sua esperienza musicale. Ma qual è stato il pretesto per iniziare proprio questo tipo di carriera musicale?
La “fortuna” di Bruno è stata quella di essere nipote di uno dei fondatori de ‘E Zezi, gruppo operaio di Pomigliano d’Arco, Aniello Iorio. Bruno ci racconta il suo debutto come un’inaspettata performance: ‘E Zezi suonavano al Teatro Polivalente Occupato a Bologna, quando uno dei membri storici del gruppo, Miciariello, lo spinse – non proprio democraticamente – a suonare.
“Bru’ piglia ‘a tammorr’”
“Chi? Je? Staje afor’?”
“Piglia, suon’!”
Bruno ricorda con nostalgia quei momenti di “grande fervore” per il movimento operaio, anni di entusiasmo e tanta voglia di cambiare le cose, così diversi dall’appiattimento culturale che si può constatare oggi, invece.
Da lì è nata in lui una nuova concezione di musica, il suonare in modo non convenzionale, trovare da sé nuove tecniche; matura una vera e propria ossessione per il suono. Bruno non canta, ma trova il modo di far sentire la sua voce, ricavandola dallo strumento che suona, il tamburo; con esso ha la capacità di accompagnare perfettamente una persona che canta con otto note. Oltre all’effetto suggestivo, il suono del tamburo ha anche un aspetto terapeutico, un riscontro fisico e psichico positivo in termini di energia interiore, come se fosse capace di rigenerare i sensi.
Lo scopo di coinvolgere i bambini in questo tipo di attività è di imprimere nelle loro teste la mentalità di “agire per e con gli altri”, un principio che dovrebbe essere alla base della vita, andando oltre le spinte egoistiche dell’essere umano. L’ascolto è fondamentale, ma troppo spesso non è un valore che la scuola e le famiglie si premurano di insegnare.
Foto di Ilaria Aversa