Il capo ordina morte e morte sarà
di Martina Casentini
Era il 1961 quando lo psicologo statunitense Stanley Milgram dimostrò quella che Hannah Arendt definì banalità del male, ovvero un essere umano che fa del male ad un altro essere umano solo perché qualcuno gli ha attribuito il potere o il compito di farlo.
La Treccani definisce la parola banale così: privo di originalità, privo di particolare interesse, comune, ovvio, scontato.
Ma come fa, il male, a diventare banale?
Scontato?
Ovvio?
Comune?
Stanley Milgram fa parte di quel filone di ricercatori che ha tentato di spiegare come e perché l’uomo abbia potuto trasformare il male in qualcosa di banale, con un forte riferimento allo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti.
Nel caso specifico, in quello che oggi è ricordato come l’Esperimento di Milgram, gli scienziati diedero ad alcuni soggetti il potere di eseguire azioni opposte al loro universo etico e valoriale, per capire se e soprattutto perché i criminali di guerra alla fin fine non avessero fatto nulla che fosse diverso dall’esecuzione di semplici ordini.
Non è un caso, infatti, che l’esperimento sia storicamente posizionato accanto al processo contro Adolf Eichmann ed i suoi complici. Fu quest’ultimo, descritto dalla Arendt come “l’incarnazione dell’assoluta banalità del male”, a spronare e a dare una base di riferimento per definire l’esperimento sociale dello psicologo, quando sostenne – durante il processo – di non aver mai avuto alcun motivo di odiare gli ebrei bensì di aver soltanto eseguito degli ordini, come un normale soldato.
Milgram e i suoi collaboratori cercarono di spiegare proprio questo, dimostrando che il punto focale era nel mettere in pratica un semplice ordine, indipendentemente da quale esso fosse.
E così, se il capo ordina silenzio: silenzio sarà.
E se il capo ordina morte: morte sarà.
Ma vediamo com’è andata.
Al campione di partecipanti, tutti uomini, appartenenti a diverse cerchie sociali, fu detto che si trattava di un esperimento sulla memoria e sull’apprendimento.
Ad ognuno di questi soggetti venne, di volta in volta, assegnato il ruolo di insegnante e messo in coppia con un altro uomo, questa volta complice dell’esperimento, al quale invece veniva attribuito il ruolo di allievo.
L’ignaro insegnante veniva posto davanti a trenta interruttori, ognuno collegato ad un generatore di corrente che era via via sempre più potente. L’uomo aveva il compito di leggere all’allievo delle coppie di parole, il quale doveva memorizzarle e ripeterle. In caso di risposta sbagliata, l’insegnante doveva mandare una scossa elettrica come punizione, aumentando di grado ad ogni errore dell’allievo.
Le scosse erano ovviamente fittizie e l’allievo complice doveva solamente similare le imprecazioni di dolore e, alla fine, un finto svenimento.
Accanto all’ignaro uomo che mandava scosse di corrente contro l’altro, era affiancato uno sperimentatore che come un capo lo esortava a continuare, per far sì che l’esperimento potesse riuscire al meglio. Il grado di obbedienza venne misurato in base al numero (da 1 a 30) dell’ultimo interruttore premuto prima che l’insegnante decidesse che non era più possibile per lui continuare. La maggior parte dei quaranta partecipanti, nonostante sembrassero non voler arrivare al termine dell’esperimento, continuò a procedere.
È importante considerare, oltre alla distanza spaziale tra insegnante e sperimentatore, anche quella che separava l’insegnante dall’allievo: all’aumentare della possibilità di udire o vedere il dolore dell’allievo, infatti, diminuiva la percentuale dei soggetti che arrivavano fino alla fine dell’esperimento.
Il grado di obbedienza era definito soprattutto dalle esortazione dello sperimentatore che, visto come una figura autoritaria, legittimava a violare anche i più profondi principi morali di ciascuno, inducendo i partecipanti ad uno stato detto eteronomico per il quale tendiamo a vederci non più come soggetti autonomi ma come strumenti che eseguono ordini e quindi per nulla responsabili del dolore che causiamo agli altri: a questo processo Milgram diede il nome di ridefinizione del significato della situazione, con il quale manovriamo mentalmente e involontariamente il significato che diamo ad ogni situazione, per liberarci dalle nostre responsabilità.
È questo, dunque, quello che è successo ai soldati che hanno sterminato gli ebrei?
Hanno solamente eseguito degli ordini?