Una nota stonata
di Federica Auricchio
A te,
così introverso, schematico, preciso in ogni passaggio. Chissà quali mondi erano in costruzione in quella testa mentre i tuoi larghi occhi fissavano gli oggetti della stanza.
Io, te e due bicchieri vuoti.
Avrei tanto voluto chiederti a cosa pensavi, tirarti le parole di bocca, spingerti a raccontarti; ma preferivo restare in silenzio ad osservarti, meticolosamente.
Fissavo le tue labbra rosse e suonavo con le dita sperando di sentire il tuo corpo sotto i miei polpastrelli e ascoltare la melodia che porti con te.
Perché la rinchiudi nel torace?
Un fascio verde incornicia la porta.
“Nasce l’esigenza di sfuggirsi per non ferirsi di più, lasciami giù qui è la solita prudenza loro senza me mi hai detto è un problema di coscienza…”
In sottofondo canta Battisti.
Fischietti.
Vorrei prenderti la mano, stringerla forte, tirarti a me.
Perdermi nelle tue labbra.
So che ti darebbe fastidio, placo il mio istinto, ti guardo e sorrido.
“Penso che l’avrò in testa tutta la giornata”, sussurro lievemente mentre continuiamo distaccati.
I tuoi gesti, quei piccoli gesti di attenzione. Non parole e promesse, ma un sorriso celato, uno sguardo rubato, piccole manifestazioni.
Restavi in silenzio però e io volevo tanto chiederti, chiederti cosa le tue labbra volevano confidarmi; ma tacevo a mia volta.
Forse avrei dovuto farti delle domande, porto con me questo punto interrogativo. Spesso abbiamo timore di ascoltare le storie degli altri e di narrare le nostre, probabilmente perché è difficile affrontare la perdita e, altrettanto difficile è, acquistare pezzi di sé.
Eppure avrei tanto voluto rubarti.
Eppure avrei tanto voluto lasciarmi.
Eppure avrei tanto voluto custo(dirci).
Ormai è andata.
No, non ero nel tempo giusto.
Non lo sono mai d’altronde.
Fugacemente esco dal tuo spartito,
Una nota stonata.
Disegno di Sonia Giampaolo