La Divina Commedia e la sfida di Dante a Dio
di Antonio Alaia
Dante Alighieri e Dio, due leggendari artisti che hanno ricamato il destino dell’umanità.
Lungi da me bestemmiare paragonando un comune mortale come Durante Alighiero degli Alighieri, fiorentino di modeste origini (1265-1321) e Dio, il Primo Motore (immobile ed eterno); ma è possibile definire alcuni parallelismi (puramente letterari) tra i due soggetti.
Bibbia e Divina Commedia, un libro sacro e un poema “divino” (come disse un certo Boccaccio), due opere tra le più conosciute e apprezzate della letteratura universale.
La prima fu scritta nell’arco di circa 1500 anni, il suo canone è composto da 73 libri scritti da 40 uomini diversi, raccolti in Antico Testamento e Nuovo Testamento. La leggendaria opera è stata scritta da esseri mortali guidati direttamente da Dio; nel Medioevo, infatti, manomettere anche un piccolo verso di questa era considerato come un gravissimo peccato, poiché significava modificare e dunque profanare la parola di Dio stesso.
Al giorno d’oggi, la Bibbia è rimasta il testo sacro ufficiale del Cristianesimo e dell’Ebraismo, testo intoccabile contenente le Sacre Scritture.
La Divina Commedia, invece, è un’opera letteraria scritta da Dante Alighieri tra il 1304 e il 1321, anno della morte dell’autore. I 14.223 endecasillabi sono raccolti in 3 cantiche da 33 canti (o 34 come nel caso dell’Inferno).
Attualmente non abbiamo ancora documenti autografi dell’autore, dunque l’opera come la conosciamo oggi è stata copiata dai suoi manoscritti e raccolta nell’attuale composizione.
Secondo Dante, la sua opera non è una mera finzione letteraria, piuttosto è un poema pervaso da un costante senso anagogico. Senza scomodare ricerche etimologiche e definizioni astruse, il senso anagogico viene definito così nel Convivio II da Dante stesso:
“Lo quarto senso si chiama anagogico, cioè sovrasenso; e questo è quando spiritualmente si spone una scrittura, la quale ancora [sia vera] eziandio nel senso litterale, per le cose significate significa de le superne cose de l’etternal gloria sì, come vedere si può in quello canto del Profeta che dice che, ne l’uscita del popolo d’Israel d’Egitto, Giudea è fatta santa e libera. Ché avvegna essere vera secondo la lettera sia manifesto, non meno è vero quello che spiritualmente s’intende, cioè che ne l’uscita de l’anima dal peccato, essa sia fatta santa e libera in sua potestate. E in dimostrar questo, sempre lo litterale dee andare innanzi, sì come quello ne la cui sentenza li altri sono inchiusi, e sanza lo quale sarebbe impossibile ed inrazionale intendere a li altri, e massimamente a lo allegorico. È impossibile, però che in ciascuna cosa che ha dentro e di fuori, è impossibile venire al dentro se prima non si viene al di fuori: onde, con ciò sia cosa che ne le scritture [la litterale sentenza] sia sempre lo di fuori, impossibile è venire a l’altre, massimamente a l’allegorica, sanza prima venire a la litterale.”
In parole povere, tutte le vicende delle sacre scritture sono da leggere in senso anagogico, quindi combinando i sensi letterali, morali e allegorici. Ciò significa che ogni evento narrato nella Bibbia è storicamente vero, ha un suo significato morale e un senso allegorico.
E dato che noi non stiamo facendo altro che citare Dante, è evidente che è il sommo poeta stesso ad accostare la Bibbia alla definizione di senso anagogico, e di conseguenza, alla Divina Commedia.
Così come il popolo di Israele attraversò il Mar Rosso, così Dante attraversò (realmente, moralmente e allegoricamente) la selva oscura.
Che Dante abbia davvero sfidato la Bibbia? Che abbia davvero provato, lui singolo essere mortale, a replicare un testo sacro? Per quanto possa suonare come una blasfemia, le intenzioni del fiorentino potrebbero essere giustificate. Come?
Era teoria comune, nel Medioevo, che gli scrittori scrivessero sotto guida diretta di Dio, che la divina verità si manifesti attraverso la ricerca dell’uomo e che si esprima mediante la mano umana (vedi la filosofia di S. Agostino).
Dunque, è probabile che Dante si sia nascosto dietro questo ragionamento per smentire le teorie sulla finzione letteraria intorno la sua grandissima, divina opera.
Dunque, se dovessimo leggere la Divina Commedia tenendo con la stessa chiave di lettura (cristiana) che useremmo per la Bibbia, e se tenessimo conto anche della teoria sopracitata, dovremmo convenire sulla veridicità dell’esperienza mistica di Dante.
Così come ha intrecciato le storie delle vite umane in modo tale da donarci gli insegnamenti morali contenuti nella Bibbia, Dio potrebbe aver donato al sommo poeta la possibilità del viaggio ultraterreno per (ri)mostrarci ancora una volta qual è la retta via da non smarrire.
Durante Alighiero degli Alighieri è stato un genio del male che ha saputo sfruttare i dogmi medievali per costruire l’opera più emblematica della storia dei tempi… oppure è stata una semplice pedina di un piano divino, così come Dio fece con le personalità della Bibbia?
Nemmeno ai posteri l’ardua sentenza.