Eugenio Montale e Drusilla Tanzi, quando l’amore diventa poesia
“L’amor che move il sole e l’altre stelle” scriveva il sommo Dante nell’ultimo verso del Paradiso, consapevole che l’amore è il più grande meccanismo attorno a cui ruota tutto l’universo e la più grande ispirazione del genio artistico.
I grandi autori e poeti del passato ne sapevano qualcosa, visto che proprio tramite l’amore hanno realizzato veri e propri capolavori che li hanno consegnati all’immortalità della gloria poetica, ma qualcuno ne sapeva anche di più, ed era Eugenio Montale.
Montale con le parole ci sapeva fare.
Ed è proprio grazie alla sua abilità che è riuscito a conquistarsi, di diritto, non soltanto un premio Nobel per la letteratura, ma anche un posto perenne e onorario nell’Olimpo degli scrittori più straordinari.
Ma l’amore per lui non era il fine, bensì la “condizione d’esistere” necessaria, l’unica in grado di rendere eterno tutto ciò che le si legava.
E quell’eternità la attribuisce alla moglie, l’unica figura stabile e vitale con la quale intreccerà la sua vita in modo indissolubile, al punto da fondere insieme i propri confini vitali. L’inizio e la fine di due vite che avevano il privilegio di poter essere considerate come una cosa sola.
Sua moglie, Drusilla Tanzi, è stata per lui la sola ispirazione, la sola follia, la sola intuizione e la sola arte di cui si sia mai voluto lasciare attraversare.
L’unica forma di amore che abbia mai potuto conoscere, la sola gloria poetica che abbia mai voluto raggiungere.
Drusilla era una donna sposata e con un figlio quando incontrò il poeta per la prima volta, eppure ciò non sembrò bastare per evitare che l’affinità intellettuale tra i due avvenisse. In un solo incontro, tra loro nacque subito un’affinità elettiva che andava oltre ogni tentativo di spiegazione.
Il loro legame, in poco tempo, si trasformò in qualcosa di più profondo, unico, forte, controcorrente, tanto da sfidare tutte le tipiche convenzioni sociali di un’Italia fascista, fortemente impegnata nella celebrazione del culto della famiglia e della donna come moglie modello.
Montale e la Tanzi convolarono a nozze nel 1962, quando il marito di quest’ultima morì, ma, come ogni favola che si rispetti, l’idillio non era destinato a durare per sempre: la donna morì appena un anno dopo le nozze, a seguito di una caduta.
L’amore tra Drusilla e Montale, in realtà, non fu più idillio da alcuni anni prima del matrimonio, dato che il poeta fuggiva qua e là tra l’Europa e l’America dalle sue “altre” donne, mentre la compagna tentò più volte il suicidio per evitare che lui andasse via, che si allontanasse.
Eppure Montale, alla fine, rimase e la sposò.
Ma allora cosa c’è di tanto straordinario in questa storia, in questo amore, se tutto sembra rientrare nei canoni dell’ordinarietà?
La risposta è semplice: il modo in cui Eugenio sopravvive alla morte di Drusilla, nel modo profondo in cui rimette insieme i pezzi di un amore finito troppo presto. La mancanza lo aiuta a capire ciò che la figura di questa donna minuta, fragile e miope gli ha lasciato dentro, cosa lei gli ha insegnato senza che lui se ne rendesse nemmeno conto.
Ed è qui, in questo atto finale, che accade la magia.
È qui che il suo amore sublima al punto da diventare arte. Perché solo nell’arte si può rendere eterno, qualcosa che non lo è. Come la sua amata Drusilla. La donna che ha cercato nel volto delle altre. La donna che ha amato di più. E Montale decide di renderle omaggio componendo ben ventotto poesie per lei, inserendole in una raccolta intitolata “Xenia”, ossia “dono”, proprio com’era dono lei.
In essa il poeta la celebra come l’essenza della sua stessa vita e la trasforma in poesia, l’onore più alto e immenso che si possa concedere a chi ha vissuto l’amore per il suo compagno in modo così estremo come Drusilla, o per meglio dire, come “Mosca”, come la chiamava lui per via dei suoi occhiali molto grandi.
La consapevolezza di questo amore tanto forte, così totalizzante traspare chiaramente in “Ho sceso dandoti il braccio”, una delle sue poesie più belle e commoventi, in cui afferma che senza di lei “è il vuoto a ogni gradino” della scala della vita.
È in questo vero e proprio inno all’amore eterno che Montale vuole urlare al mondo che la bellezza perfetta di due cuori che battono all’unisono resiste a tutto. Resiste alla nebbia. Resiste ai dolori.
Attraverso la vita e oltre la morte.
E questo Drusilla e Montale, in fondo, lo hanno sempre saputo.
Alessia Miranda
Vedi anche: Sole e ombre. L’estate dei poeti