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L’elisir per una vita tranquilla: Labadessa docet

Ospite del primo pomeriggio di Ricomincio dai libri è Mattia Labadessa, illustratore partenopeo divenuto noto grazie ai suoi disegni e vignette pubblicate inizialmente su Facebook e Instagram, poi autore di quattro libri – l’ultimo è Bernardo Cavallino, presentato anche nell’ambito del festival – e  ospite al Luccacomics. A Sorrento abbatte immediatamente la distanza tra sé e il pubblico rispondendo alle domande di tutti, scendendo anche molto in profondità nell’analisi dei suoi disegni, rivelando una filosofia e una mentalità quasi orientale in cui l’essere umano è un agglomerato di energia e materia in uno spazio sconfinato di energia e materia, quindi perché preoccuparsi e crearsi dei problemi?

Avvicinarlo non è affatto difficile: nonostante il vento freddo dedica disegni e si ferma a parlare con quanti lo avvicinano, e quando arriva il mio turno ci sediamo a chiacchierare a un tavolino dove finalmente si accende una sigaretta. Non c’è bisogno di fare domande, Mattia ama parlare e l’unica difficoltà è stare al passo con lui.

Com’è nato il tuo approccio alla vita? È un flusso di coscienza alla James Joyce?

“È tutto un flusso di coscienza. Sono sempre stato una persona estremamente positiva, convinta nel sentire tutto: anche qual è la strada, cosa succederà nel tuo futuro, alcune cose le senti. Il grande cambiamento che c’è stato è che negli ultimi anni mi sono lasciato completamente andare a questa sensazione di Lasciati guidare dal caso e tutto andrà come deve andare, come se tu fossi fautore della tua vita.”

Quindi vivi quello che il mondo ti propone?

“Il mondo non ti sta proponendo niente, sei tu a crearti le proposte. Forse lo dico solo perché sono riuscito a fare quello che volevo fare, ma da sempre mi dico “Io vivrò disegnando”, da quando avevo 5 anni. Ora sto facendo tutt’altro, però sono al quarto libro, non mi posso lamentare in nessun modo.”

Perché il giallo, perché gli uccelli?

“Me lo chiedono tutti, convinti ci sia un motivo. Non c’è un motivo, mi piacciono, sono scelte legate al mio essere illustratore, puramente estetiche.”

Non è una cosa alla Batman e i pipistrelli quindi.

“No no, a parte che non sono un appassionato di fumetti pur facendo fumetti, e già questo è atipico. Mi sono improvvisato anche scrittore, è una mia vocazione e mi sta piacendo troppo. Nel fumetto devi comunque raccontare una storia, è un flusso di coscienza che porta anche a cambiare approccio al disegno, alla scrittura, a seguire un po’ quello che senti e abbandonarsi all’istinto che secondo me è fondamentale. Soprattutto non prendersi troppo sul serio: è difficile non pensare perché pensare è l’unica cosa che ci distingue da un animale. Scrivere un fumetto è sicuramente diverso dallo scrivere un romanzo ma la differenza è sicuramente su come te la puoi giostrare nel gestire il ritmo e nel rapporto che avrà il lettore con la tua opera: in un romanzo devi mantenere alto il ritmo con le parole, basta. Nel fumetto te la puoi cavare con il disegno, con le scene, l’atmosfera. Il testo è aiutato moltissimo dalle immagini ma raggiunge un livello superiore, perché ti fa entrare in un mondo è che non è creato dalla tua fantasia di autore come nel caso di un romanzo, ma è adatto a quello che stai raccontando, ti fa entrare in una stanza.”

Com’è nata la tua passione per il disegno?

“La passione per il disegno è nata istintivamente, sono stato spronato da mio nonno materno che è un pittore siciliano. Già quando ero piccolo voleva farmi avvicinare assolutamente al mondo dell’arte in qualsiasi modo. La sentivo già mia questa passione, infatti non ricordo quando ho cominciato, disegno da quando ne ho memoria. Il mezzo “fumetto” è arrivato dopo: ho aperto la pagina Facebook, i numeri sono iniziati a crescere e le case editrici si sono interessate perché hanno visto un pubblico a cui vendere qualcosa. Io non avevo manco idea di fare libri, ma quando me l’hanno proposto mi sono detto “Però sarebbe divertente”, a prescindere dal rendere il disegno un lavoro, quindi ho detto “Ok facciamolo, proviamo a fare un fumetto”. Quindi è stato il fumetto ad arrivare da me, tramite la pagina Facebook. Ho letto pochissimi fumetti in vita mia: qualcosa di Leo Ortolani, Rat-Man e qualche Topolino. Ho avuto anche qualche rogna nell’ambiente perché i fumettisti non ti accettano tanto facilmente, poi vedere qualche autore che magari vende pure bene e che dice “I fumetti non li leggo”… Non posso dire che non mi piacciono: ho un blocco, sarà che ora mi sento anche obbligato perchè ci sto dentro, ma non li leggo.”

La tua passione dunque è diventata il tuo lavoro.

“Continuerò su questa strada, non voglio abbandonare il disegno in alcun modo però forse userò altri mezzi in futuro, non mi vedo così legato al fumetto da continuare a pubblicare per altri dieci anni. Se mi segui sul mio profilo Instagram puoi capire che persona sono, mi stanco facilmente. Il disegno è l’unica cosa che non mi annoierà mai, però il modo in cui lo utilizzo, il contenitore, magari cambierà. Per ora mi piace moltissimo fare fumetti, ma magari diventerà altro, che so, un romanzo illustrato. C’ho sto fatto che devo sperimenta’, per ora mi trovo bene nel fumetto, poi vediamo.”

E il progetto musicale?

“Non lo so, si parla di progetto musicale, moltissimi tra quelli che vengono in fiera a farsi fare la dedica mi parlano dei pezzi, di Dovremmo prendere un cane che è stato il primo e mi chiedono dediche su quello, quando lo metto su Spotify. Mi sto rendendo conto che dal gioco sta nascendo una cosa seria, e mi divertirebbe tantissimo, a me cantare piace proprio, anche se non so cantare io mi diverto. A ballare non sapendolo fare non ci riesco, vado un po’ in panico, invece a cantare male mi piace, perché c’è quella poesia che in uno che balla male in pista non vedo.”

Di Marta Maresca

 

 

 

La Redazione

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