Italia sì, Italia no: l’umorismo dei cachi
“Italia sì Italia no Italia bum, la strage impunita.
Puoi dir di sì puoi dir di no, ma questa è la vita.
Prepariamoci un caffè, non rechiamoci al caffè:
c’è un commando che ci aspetta per assassinarci un po’.
Commando sì commando no, commando omicida.
Commando pam commando papapapapam,
ma se c’è la partita il commando non ci sta e allo stadio se ne va,
sventolando il bandierone non più sangue scorrerà.”
Se parliamo di Umorismo dobbiamo considerare la particolare visione del mondo che tale sentimento comporta. Elio e Le Storie Tese nella canzone La terra dei cachi ci danno dimostrazione di quanto una tematica ostica, triste e per nulla comica, possa, detta in una determinata maniera, diventare umoristica.
La terra dei cachi è la nostra Italia, il mondo in cui viviamo, eppure chi ascolta il testo di Elio, ride. Se un uomo di nazionalità francese ci comunica lo stereotipo di un’Italia fatta di pizza, calcio e pasta, noi non ridiamo, piuttosto chiediamo al francese se continua ad usare il bidet come contenitore per saponi.
Partendo da tale spunto di riflessione, parleremo di due opere che di divertente non hanno nulla, eppure, leggendole, potremmo trovarci a scorgere un sorriso sul nostro volto.
Marjane Satrapi è la personificazione di un caso editoriale: Persepolis, primo fumetto iraniano mai pubblicato. La storia che la Satrapi racconta è di orrori, di guerra e dolore, ma il modo di raccontarlo ci induce a proiettare l’immagine di queste atrocità in uno specchio, le riflettiamo guardandole dall’esterno e, riflettendole, le vivisezioniamo in vignette più o meno incisive.
Il passaggio che prenderemo in considerazione è particolare, Marjane, protagonista in prima persona del racconto nonché autrice, torna da Vienna a Teheran e il suo stato psicologico è precario a causa di una serie di delusioni vissute lontano dalla città natale.
Marjane non si sente realizzata, per le sue vecchie amiche è solo un’occidentale decadente, ormai non ha più nulla da condividere con un mondo da cui si sente rifiutata. Ed è precisamente questa l’immagine che viene riflessa allo specchio, Marjane inizia a vedere degli psicologi finché non si imbatte in uno che la indirizza verso il “problema psichiatrico”.
Qui inizia il passaggio umoristico, la protagonista appare addirittura felice di risolvere la depressione con delle pillole, seppure tale gesto la indica ad uno stato palliativo e non curativo del male stesso.
Qui ci accorgiamo come la “vecchia imbellettata”, quella che a guardarla fa ridere di gusto, non è altro che una povera donna senza autostima che vuol piacere al proprio uomo, magari più giovani di vent’anni.
Marjane, così, tenta il suicidio in vari modi, tenta di tagliarsi le vene, di morire dissanguata nella vasca, prova ad ingerire tutto il flacone di pillole. Si sveglia dopo tre giorni e si accorge di non essere morta, concludendo i propri tentativi di suicidio con la frase “Da oggi in poi, voglio cambiare vita”, mentre la Marjane narratrice lancia la propria deduzione: non è fatta per morire.
Cosa c’è di umoristico nel suicidio?
Niente. Ma questo particolare suicidio non pervenuto ci induce a riflettere e ci fa sorridere, la vita è fatta di momenti bui, ma se la morte non ti vuole, non ti prende. L’autoironia con cui la Satrapi si racconta, ramifica le storie dei suoi familiari, rende Persepolis un paradosso, la testimonianza di una guerra che, messa nero su bianco, appare quasi mai avvenuta, proprio come la Shoah raccontata da Art Spiegelman.
La coppia gatto/topo più famosa e simpatica è sicuramente quella formata da Tom e Jerry, ma con l’avanzare dell’età ho scoperto altre accoppiate animalesche decisamente più accattivanti e, senza nulla togliere ai beniamini dei bambini, i gatti e i topi di Maus ci insegnano qualcosa di poco convenzionale.
Spiegelman racconta l’Olocausto tramite gli occhi di suo padre, sopravvissuto alla strage della Seconda guerra mondiale; il modo di raccontare è l’elemento che consideriamo umoristico.
L’autore trasforma gli ebrei in topi e i nazisti in gatti, affidando ai francesi la forma di rane, ai polacchi quella di maiali. La soluzione stilistica ci distacca da un dramma come quello citato, il lettore quasi dimentica che tutto questo dolore sia esistito e lascia spazio alla fantasia, alla riflessione e al pensiero che gatti e topi si siano affrontati in una guerra di supremazia.
Se non avessi conosciuto la guerra, io avrei tifato per i gatti perché li preferisco. Il paradosso, il vetro scheggiato della ragione ci induce all’umorismo, al sentimento del contrario. Topi, esseri che consideriamo da sterminare, sporchi e portatori di malattie sono un popolo bistrattato in ogni epoca, i gatti, con i loro volti arcigni, diventano i carnefici.
Il personaggio che consideriamo maggiormente umoristico è sicuramente Vladek, padre di Spiegelman nonché sopravvissuto e, nel presente libresco, narratore della storia raccontata. Vladek rappresenta tutto ciò che è stereotipo nei confronti degli ebrei polacchi, è avaro, scontroso e molto scaltro. Grazie alle sue doti e all’intelligenza condita da un pizzico di fortuna, sfugge alla morte e ricostruisce una pseudo vita dopo che la Guerra gli ha portato via tutto e tutti. A cominciare dal suo modo di parlare, fortunatamente mantenuto dai traduttori italiani, notiamo una conoscenza della lingua poco approfondita, un rifiuto dell’immagine umoristica del personaggio che parla bene ma non desidera farlo.
Vladek ha subito ogni tipo di dolore e, ormai, appare quasi impermeabile allo stesso, i suoi problemi di salute e il modo in cui li affronta, burbero e fastidioso sono la causa di un profondo malcontento della seconda moglie e dello stesso figlio.
La situazione diventa ancora più introspettiva e paradossale quando Artie, l’autore, ammette di sentirsi in colpa perché in realtà odia suo padre, quell’uomo tanto mitico da essere sfuggito a morte certa. Il lettore, così, sorride, scompone l’immagine e ne trae l’umorismo, poiché si scopre anch’egli assolutamente assuefatto all’odio verso Vladek, egoista, maschilista e irrecuperabile.
Due visioni diverse, ma non contrastanti, di umorismo.
Non è l’umorismo di Sarah Andersen che si concentra nelle situazioni della vita, non è quello di Salvatore Callerami che si basa sulla malizia del lettore e dello scrittore, non è l’intimo dramma personale di Labadessa o di Zerocalcare e nemmeno quello strano umorismo antieroico di Ratman, è l’umorismo che solo il lettore attento può cogliere, quello che si può vedere solo se durante la lettura si è muniti di specchio, l’umorismo di chi è oppresso e può trovare scampo dalle pene personali e di un popolo solo narrando.
Per questo motivo
“Perché la terra dei cachi è la terra dei cachi. No.”
Benedetta De Nicola
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