Quando ho scoperto di essere un artista
Cosa vuoi fare da grande? Cos’è che ti piace?
In casa mia queste domande stavano ad arieggiare alle finestre, senza fretta, come un imbuto attraverso il quale sarei potuta uscire nel mondo, ma senza fretta, ancora, pensaci bene.
E poi scrivilo. Ah, ecco. Io scrivo.
La scrittura non è stata un’epifania però, per me, quanto più una scoperta, un lento lavoro di scavo dal quale mi dissotterro a fatica, un foglio alla volta. Eppure, per alcuni esiste un momento, un istante distinto da tutti gli altri dentro cui dire ecco, ho capito.
Per Henri Matisse è stato un regalo della mamma. Ora, bisogna stare molto attenti con i regali, e non sottovalutare mai il fatto che qualunque cosa capiti tra le mani di una persona potrebbe cambiarle la vita. Personalmente, mi avrebbe fatto tanto piacere che mia madre potesse risolvermi la vita con un regalo, ma va detto che lei sono anni che mi regala solo le mutande rosse per Natale e allora meglio non indagare nemmeno troppo sul tipo di epifania che vorrebbe suggerirmi.
A vent’anni, Matisse fu ricoverato in ospedale per un’appendicite. Nel tentativo di alleviargli la noia e consentirgli di passare un po’ di tempo nella distrazione, sua madre gli regalò una scatola di colori e alcune tele: “Dal momento in cui ho avuto quei colori tra le mani” ricorderà poi Matisse “Ho capito che dipingere sarebbe stata la mia vita”. In mezzo ai colori, d’altronde, il piccolo Henri c’aveva già passato tutta un’infanzia: proprio sua madre, infatti, usava combattere il grigiore dei giorni invernali appendendo alle pareti stoffe di un rosso brillante e piatti di ceramica che avevano dipinto insieme. Quello con l’arte, per Matisse, è stato un corteggiamento forse un po’ lungo, ma un matrimonio assai riuscito.
Era con sua madre anche Patti Smith, uno degli spiriti creativi più grandi del nostro secolo, quando per la prima volta sentì un friccicorìo che intuì essere la necessità di esprimersi attraverso ciò che non si può dire, e cioè attraverso l’arte:
“Quand’ero molto piccola, mia madre mi portava a passeggiare in Humbolt Park, sulle rive del Prairie […] Ad un certo punto, il fiume si allargava in una specie di laguna, ed una volta mi capitò di vedere sulla sua superficie un singolare miracolo: un lungo collo ricurvo si ergeva da un folto piumaggio bianco. Cigno, mi disse mia madre, percependo la mia eccitazione. E quello si mosse sul pelo dell’acqua, aprì le grosse ali e in un attimo era sparito all’orizzonte”.
Questa visione lasciò la piccola Patti interdetta, e per un particolare motivo: per la prima volta, fortissimo, sentì l’impulso di parlare di quel cigno, di quell’episodio, ma tutte le parole che conosceva le sembrarono all’improvviso povere, incomplete… Quel desiderio di scegliere, con cura e con amore, le parole giuste per parlare di ciò che di emozionante c’è nella vita non l’abbandonerà più, e dalla sua penna prenderanno vita capolavori di sensibilità tradotti in letteratura, in poesia, in musica…
E a proposito di musica… Probabilmente parlando di Anthony Burgess non è la prima cosa che viene in mente, la musica. La prima cosa è Arancia Meccanica, il libro da cui Stanley Kubrick tirerà fuori uno dei suoi film più iconici. Eppure, l’epifania di Burgess non ha niente a che vedere con la letteratura, che per tutta la sua vita è stata un amore grande, ma forse non il più grande. Sicuramente non il primo. Lo scrittore inglese nacque in povertà, a Manchester, nel 1917, e a meno di due anni perse la madre e la sorella maggiore a causa dell’epidemia di influenza spagnola. In mezzo a tutta questa disperazione, la sua unica consolazione era una radio… Una radio che si era costruito da solo.
“La assemblai nella mia camera da letto, con bobine, auricolari e vibrisse di gatto! Un sabato sera, quando avrei dovuto essere al campo di calcio, provai a cercare Jack Payen e la sua Dance Orchestra, ma ciò che trovai invece fu uno strano silenzio rotto da qualche colpo di tosse e poi, d’improvviso, un incredibile solo di flauto, sinuoso, esotico, erotico. Ero incantato. Otto minuti dopo l’apertura con l’assolo del flauto, l’annunciatore mi rivelò che avevo appena ascoltato L’apres-midi d’un Faune, di Claude Debussy”.
Con la grandezza di quel sentimento che accompagna le scoperte sensazionali, soprattutto quelle fatte da bambini, Burgess aggiunge: “C’è, per tutti, una prima volta. Un momento psichedelico… Un attimo di riconoscimento di realtà che sono al di là della capacità umana di raccontarle, e quel momento è l’incarnazione di tutto ciò che noi chiamiamo, per mancanza di termini adatti, bellezza”.
D’altronde è vero, ci mettiamo un secondo ad innamorarci, e poi passiamo tutta la vita a scontare quel secondo. O a renderlo eterno.
Marzia Figliolia