24 ore a Bologna possono cambiarti la vita
Siamo onesti, avere 17 anni è al contempo sia bello che brutto: amplifichiamo ogni singola emozione, ogni singolo avvenimento e ce lo portiamo dentro come esperienza di vita.
Questa emozione può derivare da un viaggio, da un amore trovato oppure perso, da una canzone suonata, da una nottata osservando la notte ed ascoltando il silenzio che riecheggia nell’aria.
Questa emozione l’ho trovata con Bologna, la mia Bologna.
Era il 02/02/2012 e partii verso il capoluogo emiliano con un mio amico per assistere all’I-Day Festival tenutosi all’Arena Parco Nord della suddetta città dove si sarebbero dovuti esibire i Green Day ma, per un malore di Billie Joe Armstrong, il concerto si fermò ai Social Distortion.
Il primo ricordo che ebbi furono i bagni della stazione invasi da fan che si cambiavano celermente gli indumenti sfoggiando chi la maglietta di American Idiot e chi degli All Time Low, le band di spicco del festival.
Usciti dalla stazione, ci aggregammo ad un gruppo di fan che si recavano verso la sede del concerto.
Via Stalingrado era invasa e mi sentivo come se stessi in una grande famiglia; non conoscevo nessuno, eppure mi sembrava il contrario anche solo guardandole negli occhi e parlar con loro sembrava parlare con un vecchio amico d’infanzia.
Discutevamo di tutto: dalla politica alla musica fino alla libertà d’espressione; era una grande famiglia che quel giorno, senza sapere da quale parte dell’Italia provenivi, ti voleva bene e ti faceva sentire accettato in questo mondo così chiuso, bigotto e desolato dove nessuno sembrava capirti oppure erano i 17 anni che ti facevano rinchiudere in un tuo universo creato su velleità e sogni.
Arrivammo all’Arena Parco Nord e il luogo era come me l’ero immaginato: terreno, un prato infinito, ragazzi che suonavano canzoni dei Green Day con la chitarra aspettando quel momento in cui questi ultimi salissero sul palco.
Tutti questi fattori hanno aumentato in me la voglia di avvicinarmi alla cultura punk e ai suoi sottogeneri e la voglia di creare qualcosa di mio; creare musica per far star bene qualcuno, per aiutarlo a risollevarli come il trio californiano fece con me.
Ma può la musica unire due persone soltanto con uno sguardo? Certo che si e ci arriviamo tra poco. Io ed il mio amico avemmo l’idea di metterci il kajal per farci notare. Lui era incredibilmente uguale a Saint Jimmy – il personaggio dell’immaginario mondo di American Idiot- ed io avevo solo questa bandana legata alla fronte con sopra scritto “Green Day Italy”.
Poiché sembravamo due panda per la nostra imperizia nell’usare il kajal, decidemmo di fermare una persona a caso e chiedergli vergognosamente di aiutarci ad applicarlo. Ecco, quella persona che mi aiutò fu, per un periodo di tempo, l’amore della mia vita.
Fu quella persona che persi, per mia abitudine e per paura di rischiare di andare avanti e, guardandola, nei suoi occhi azzurri, mi bloccai come se fosse il tassello mancante principale di quella perfetta giornata.
Parlammo come se tutto intorno si fosse bloccato, tutto in bianco e nero e solo lei a colori ed io che pendevo dalle sue labbra, dai suoi occhi, dal suo tutto.
Il pomeriggio divenne plumbeo dopo che il sole settembrino ci aveva scaldati per gran parte della giornata, i Social Distortion avevano appena finito di esibirsi e avevamo il cuore a mille, avevo il cuore a mille; la ragazza, che avevo vergogna anche di guardare negli occhi, vicino e la nostra band preferita che stava per salire sul palco, l’emozione alle stelle e all’improvviso lo speaker salì sul palco e annunciò l’annullamento del concerto dei Green Day per problemi fisici del cantante.
Silenzio tombale, nessuno parlava, molti piangevano in silenzio, il kajal che colava dagli occhi, alcuni non avevano accettato tutto ciò ed altri se ne andarono a testa bassa. Nel frattempo s’era fatta sera ed eravamo in migliaia per strada dirigendoci presso la stazione di Bologna Centrale e ricordo che ad un semaforo fermo c’era una macchina con Jesus Of Suburbia a palla, il povero ragazzo, ignaro di tutto ciò, si salvò dal linciaggio solo grazie al semaforo verde.
Non ero riuscito a salutare la ragazza e ciò mi disturbava ma avevo il suo nome ben preciso in mente e ciò mi turbò più dell’annullamento del concerto. Arrivammo in stazione e ci stendemmo sul pavimento come barboni in cerca di un posto caldo per la notte ed eravamo a centinaia.
Il sonno si stava impossessando di noi fino a quando un frenetico ragazzo ci disse di seguirlo perché aveva trovato i Green Day.
Subito corremmo verso Via dell’Indipendenza e, sotto l’Hotel Majestic, ci abbracciamo e cantammo le loro canzoni più famose fino alle 3:00 del mattino. Aspettavamo soltanto che Billie Joe&Co. uscissero per farsi vedere di persona.
Eravamo sicuri che fossero loro, una mano che ci salutava dalla finestra principale dell’hotel e, solo più tardi grazie all’intervento della polizia, scoprimmo ch’era Tom De Longe che ci sbeffeggiava dalla finestra.
Tornammo in stazione, delusi, stanchi, vuoti e pieni allo stesso tempo di quella giornata che cambiò radicalmente la mia vita.
Il ritorno fu nostalgico; andar via da quel posto che volevi fosse tuo e non allontanarsi dal tuo primo amore è dura ma promisi di tornarci al costo di ogni cosa; Bologna è casa.
Per la ragazza veneziana scrissi il mio primo album “729” che inizializzò al meglio il mio percorso musicale, amai Bologna per il suo essere, per la sua notte, per la sua luna, per l’aria che ricorda i miei 17 anni, come se la natura si fosse fermata quel giorno senza invecchiare e scaturendo in me emozioni di libertà che da anni non provo.
Crescendo si hanno priorità di doveri maggiori che accantonano le tue velleità ma Bologna resta sempre un traguardo irraggiungibile che difficilmente leverò dalla mia anima.
Essa riesce ad amplificare il semplice rendendolo meravigliosamente complesso creando un dogma mentale che, senza troppi giri di parole, ti fa soltanto pensare “Dio, quanto sei bella stasera.”
Antonio Vollono