INCI – guida alla lettura dei cosmetici per evitare un’apocalisse zombie
“Costo” è per tanti sinonimo di “qualità”.
Che, pur facendo rima con “naturalità”, molto spesso è in antitesi con essa.
Scena
Supermarket – scaffale “cosmesi”
Interno giorno
Una massaia soppesa un barattolo di crema per il viso che porta la scritta “Crema viso naturale all’olio di jojoba”.
MASSAIA (con piglio deciso): “Questa che ho in mano è la più costosa e quindi di sicuro la migliore!”
Io a questo punto della scena farei partire una classica apocalisse zombie da finestre e porte d’emergenza, oppure infilerei un più moderno ingresso trionfale di un serial killer con la faccia coperta da una maschera da hockey sul ghiaccio, o semplicemente sostituirei la crema per il visto con un serpente a sonagli, visto che la massaia è bionda e lo stereotipo cinematografico lo conosciamo tutti.
Sì, perché la risposta al dubbio della massaia è proprio tra le sue mani, sullo stesso barattolo. Se solo lo ruotasse di 90 o 180 gradi: di lato o sul retro dell’etichetta che avvolge il metaforico teschio amletico fatto di metallo atossico e scritte dal corsivo accattivante c’è una sigla di quattro lettere: INCI. L’International Nomenclature of Cosmetic Ingredients, la nomenclatura internazionale degli ingredienti (nei) cosmetici.
D’accordo, non c’è scritto proprio INCI, ma si parla di “ingredienti”, quindi di una lista, normata dal Regolamento CE 1223/2009 sui prodotti cosmetici. Ѐ quindi quella sequela di nomi a volte incomprensibili per chi a lezione di chimica preferiva fare l’asta del Fantacalcio o stilare la classifica dei maschi più boni della classe. Non diamo la colpa alla massaia solo perché è hollywoodianamente bionda, su.
Zoomiamo sul barattolo della crema viso e vediamo: CYCLOPENTASILOXANE, ACQUA, tutta una serie di numeri messi prima o dopo dei composti chimici, SIMMONDSIA CHINENSIS OIL e, alla fine, PARFUM.
Secondo la normativa, chi sta in cima alla lista si trova in quantità superiore, chi sta alla fine è perché contribuisce di meno. Quindi, dal più presente al meno presente.
Analizziamo: non ci sono le quantità precise o le percentuali perché un’azienda non può rivelare troppo, è il segreto delle proprie ricette. It seems legit.
– All’inizio, c’è quasi sempre l’acqua, l’ambiente giusto per ogni cosa. Qui, però, c’è un nome che viene prima, il ciclopentasilossano. O aprite il libro di Chimica Inorganica o un qualsiasi motore di ricerca on-line, è la stessa cosa: “composto appartenente alla famiglia dei siliconi”.
In faccia, perciò, la casalinga ossigenata si sta per schiaffare un qualcosa che le dona freschezza, ma solo all’apparenza. E in quantità superiore all’acqua, perché sta prima di essa nella lista dell’INCI. Questa è una “crema viso naturale” forse se avessimo residenza nel nucleo della Terra, direi (il Silicio è il terzo componente di cui è fatto il cuore del nostro pianeta – è brutto spiegare le battute solo perché avete scelto di studiare Economia).
- Prendo un nome a caso tra quelli che hanno il numerino manco fossero in fila alle Poste: PPG-1 Trideceth-6, che secondo il prof. Google è “poliossietilene etere di alcool tridecilico”, che spesso è un “plasticizzante”. Sarò vecchio, ma il concetto di “naturale” me lo ricordavo diverso.
- Simmondsia chinensis oil, ovvero olio di Jojoba. Allora c’è! Esiste! Ѐ presente!… anche se, dopo una ventina di prodotti con la scritta “benzoato”, “alcol”, “conlostessocompostocifannoicopertoni”, ma almeno c’è. Ricordo ancora, per la cura della mia splendida chioma corvina, l’acquisto di un gel di semi di lino: sulla lista non c’era traccia di olii, di semi e forse per “Lino” si intendeva il diminutivo di uno dei geni del marketing che aveva commercializzato quel prodotto.
- Arriviamo a Parfum. Un tocco di francese, di eleganza, in questo marasma tecnico-scientifico: profumo. Quale profumo? Non si sa. Per legge, non ci è dato saperlo. Bisogna fidarsi. Se poi siamo allergici a quel determinato profumo… pardon, parfum! Vuoi mettere le bolle cutanee a forma di Tour Eiffel? Mais oui, mes chéries!
E allora come riconoscere un prodotto naturale?
- Partiamo subito dal presupposto che un prodotto di largo consumo ha sempre al suo interno qualche componente artificiale: come minimo ci sono i conservanti. Un’azienda deve pur tutelare i propri prodotti e, a patto che non dobbiamo onorare una scommessa manco fossimo dodicenni, difficilmente siamo propensi a spalmarci crema rancida sulle gote.
- In più, una lista più corta e meno ricca di nomi che ci ricordano il carburante che mettiamo nei serbatoi delle nostre auto può avvicinarsi alla naturalità tanto agognata.
- Infine, quando l’ingrediente che ci interessa di più, nel caso specifico l’olio di Jojoba, è ai piani alti dell’INCI, vuol dire che il produttore non ha lesinato sulla sua presenza.
Riepilogando: un prodotto costoso non è sinonimo di qualitativo. Ma se i componenti di cui è fatto sono pochi e puliti, allora direi che ne vale la pena.
E adesso, cerchiamo di aiutare la nostra ipotetica gentildonna che ci tiene tanto a rallentare i normali quanto inevitabili processi di invecchiamento sulla pelle che ricopre la sua scatola cranica evidentemente vuota (oh, non è sessismo: prendetevela con la Settima Arte – è il cinema. Voi addirittura avete seguito un master in Imprenditorialità e Strategia, che pretendete?):
MASSAIA (con piglio deciso): “Questa che ho in mano è la più costosa e quindi di sicuro la migliore!”
VOCE FUORI CAMPO (gridando): “GIRA IL BARATTOLO E LEGGI DIETRO!”
MASSAIA: “Oh! Grazie, Dio!”
V.F.C.: “… non sono Dio…”
MASSAIA: “Allora: grazie direttore del supermarket che mi indichi la retta via tramite interfono!”
RUMORI: irrompe un gruppo di zombie da finestre e porte d’emergenza
Antonio Liccardo