“Sono africano, italiano e napoletano”, il progetto Afro Napoli United
Maglie verdi che si stagliano tra l’erba dal campo di calcio dello stadio Vallefuoco di Mugnano nella provincia di Napoli. Un leone ruggente come ornamento di una casacca che riporta alla mente quelle terre lontane subsahariane, le mura che attorniano lo stadio con quei murales che inneggiando all’odio al razzismo, siamo nel cuore di quel progetto chiamato Afro Napoli United.
Dai racconti di Pasolini, uomo degli ultimi, che inneggiava al calcio come manifestazione di una ritualità pagana capace di esprimere arte nel movimento, sono passati decenni, troppi. Anni che hanno brutalizzato il calcio spesso nella mera espressione di sogni co-prodotti da spietati resoconti aziendali, casi di doping e corruzione, oltre che mercificazione della più tipica espressione popolare.
Il calcio, come lo sport in genere, può ancora restituire ideali e ambizioni, collocarsi come strumento necessario di aggregazione, questo è l’intento della Afro Napoli, squadra di calcio dilettantistica, nella voce anche di quei protagonisti che arricchiscono il concetto di team con i colori delle storie.
«Mi chiamo Sarjo Conteh, sto per compiere diciotto anni e sono arrivato in Italia su un barcone per inseguire il sogno del pallone. Quando sono partito da Serrekunda, una città del Gambia di oltre trecentomila abitanti sull’Oceano Atlantico a poca distanza dalla capitale Banjul, di anni ne avevo quindici […]Arriva la chance con l’Afro-Napoli United, stavolta va tutto bene.
La società, che si basa su un progetto di integrazione, mi aiuta a completare le procedure burocratiche. Così dopo due anni finalmente gioco, scendendo in campo nel mio ruolo di centrocampista centrale davanti alla difesa[…]
All’Afro-Napoli ho trovato una seconda casa, la società mi sta aiutando moltissimo, ma fuori dall’ambiente del calcio sono anche stato vittima di episodi di razzismo che mi hanno molto amareggiato, perché ho sempre avuto il mito dell’Italia[…]vengo da un paese povero e cerco come fanno anche tanti italiani andando all’estero di migliorare la mia condizione.
Io poi sono venuto per giocare a calcio, per giocarmi delle chance che in Gambia non avevo. Non è colpa mia se il mio passaporto vale meno del vostro».
«Mi chiamo Adem Redjehimi e sono algerino vengo da Constantine, in Italiano Costantina, una città a ottanta chilometri dal Mediterraneo nell’Algeria nordorientale. L’antica Cirta, che è stata tra le altre cose berbera, romana, bizantina. Un tempo, capitale della Numidia. Molti in Europa non sanno che abbiamo una lunghissima storia in comune, lungo le sponde dello stesso mare.
Ho appena compiuto ventitré anni e sono da cinque in Italia, sono venuto per il calcio, ma anche perché qui c’è mio padre. Mi è sempre piaciuto il pallone e gioco da quando ero bambino[…] Con Napoli invece è stato amore a prima vista. Mi piace tantissimo questa città.
Abito a Via dei Tribunali, in pieno centro storico e devo ringraziare un mio amico e vicino di casa tunisino, che ha giocato nei primi anni con l’Afro-Napoli e mi ha portato in questo club[…] Siamo una squadra con giocatori di tante nazionalità diverse, che è una cosa abbastanza rara nei campionati minori, ma in questa squadra di stranieri dove giocano napoletani, capoverdiani, ghanesi, gambiani, algerini, brasiliani, argentini, portoghesi, noi ci troviamo benissimo, siamo un grande gruppo, all’interno del quale sparisce ogni differenza. E la nostra lingua comune è diventata il napoletano».
«Mi chiamo Ailton Jorge Dos Santos Soares e sono un attaccante dell’Afro-Napoli. Ma chiamatemi Dodò, facciamo prima. Sono nato nel 1990 a Capo Verde, nell’isola di São Vicente. A Capoverde fa sempre caldo, perciò i ricordi più belli della mia infanzia sono quando giocavo sotto la pioggia che portava finalmente un poco di frescura».
«Mi chiamo Suleman Fuad e una volta ho fatto un fallo su Francesco Totti. Ero in prova con le giovanili della Roma e lui era il calciatore europeo che seguivo di più, perché quando ero bambino mio padre mi aveva regalato la maglietta dell’Italia col suo nome dietro. Avrei voluto dirglielo, un attimo dopo che il mio intervento in scivolata ha mancato il pallone e ha preso la sua caviglia. Purtroppo non ho avuto il tempo, e poi lui era davvero troppo incazzato. Alla fine, dopo un mese e mezzo, non mi hanno preso.
Sono nato venticinque anni fa a Kumasi, la seconda città del Ghana. Gioco a centrocampo. Sono arrivato in Italia otto anni fa grazie a Omar, uno dei tanti talent scout che vanno in giro per l’Africa alla ricerca di calciatori promettenti[…]
Ho sempre avuto il permesso di soggiorno come calciatore, sono fortunato, ma capisco chi prova a venire con ogni mezzo in Europa perché in Africa c’è una situazione davvero difficile.
Non è solo una questione di conflitti e persecuzioni, la vera guerra in Africa è la povertà, che coinvolge il novanta per cento della popolazione. È difficile vivere lì, tutti gli standard sono inferiori a quelli che avete qui in occidente, la qualità delle case, le strade, le infrastrutture.
I nostri governi sono corrotti e complici dello sfruttamento di un continente ricchissimo di materie prime, dove questa ricchezza quindi non arriva alla stragrande maggioranza della popolazione.
Nonostante il Ghana sia uno dei paesi più stabili e solidi dell’Africa, abbia petrolio, gas, bauxite, manganese, diamanti, sia il secondo produttore mondiale di cacao, questo benessere resta in mano alle compagnie occidentali e cinesi, e alla piccola percentuale di africani legati al potere politico».
«Mi chiamo Luigi Velotti e sono il capitano dell’Afro-Napoli United. Sono nato a Barra nel 1990, la passione per il calcio è arrivata presto, ma dopo quella per gli animali.
Avevo sei, sette anni quando ho iniziato a tirare calci a un pallone. Prima per strada, poi alla scuola calcio[…]Quando si prospetta l’ipotesi, l’Afro ha appena vinto il campionato di prima categoria. Che potrà mai essere, dico fra me e me.
Ho inoltre la possibilità di andare all’Afragolese che ha allestito una squadra per vincere il campionato d’Eccellenza. Ma mia moglie mi fa riflettere e alla fine mi convince. Vacci almeno a parlare, mi fa, e così mi incontro con il presidente Antonio Gargiulo, il vicepresidente Francesco Fasano e il mister Montanino.
Avete presente l’amore a prima vista? Mentre eravamo a pranzo io, abituato ai personaggi loschi delle serie minori, non riuscivo a credere a quanto fossero invece delle persone perbene i miei interlocutori. Nella mia carriera ho fatto sempre la scelta sbagliata, stavolta non commetto lo stesso errore: scelgo l’Afro-Napoli United. Abbiamo il dovere di contrastare il razzismo che si nutre di ignoranza».
Queste le voci di alcuni degli straordinari protagonisti di uno sport che diventa politica degli ultimi e dei diversi, un’Associazione Sportiva Dilettantistica nata con l’intento di adoperare il principio secondo il quale lo sport può e deve essere, oltre una semplice disciplina per allenare il fisico, anche un veicolo per l’insegnamento di valori sociali ed etici, un metodo per abbattere i tabù razziali.
Il progetto prende vita nell’ottobre 2009, per iniziativa di Antonio Gargiulo e dei senegalesi Sow Hamath e Watt Samba Babaly, con l’obiettivo di combattere la discriminazione e favorire la convivenza paritaria tra napoletani e migranti.
Gli atleti provengono da Senegal, Costa D’Avorio, Nigeria, Capo Verde, Niger, Tunisia e abitano nei quartieri più popolari del centro storico: Materdei, Stella, Sanità, Arenaccia, ecc…
La maggior parte di loro, però, arriva dalla zona della Ferrovia. Alcuni ancora non hanno un’occupazione, o l’hanno persa da poche settimane e c’è chi ancora fatica a parlare la nostra lingua.
Altri invece sono perfettamente integrati nel tessuto sociale. Si sono aggregati negli ultimi anni anche ragazzi provenienti da altre nazioni europee e da altri continenti (Asia e Sudamerica). A oggi l’associazione ha realizzato due squadre di calcio, che partecipano a tornei amatoriali, cittadini e provinciali, raggruppando da circa 40 atleti.
Il campionato si è appena concluso, nel girone A di Eccellenza campana, è questo straordinario gruppo ha sfiorato i play off per la promozione al campionato semiprofessionistico di serie D. Ci riproveranno, più forti di prima, non ci resta che augurarci longevità alla straordinarietà di certi progetti e urlare “Forza leoni!”.
Un grazie particolare a Rosario Dello Iacovo per l’indispensabile raccolta delle testimonianze di questo viaggio nella lettura.
Claudio Palumbo