Stabiae: piccola Venezia romana d’influenza greco-sannitica
La prima cosa che ci viene in mente appena pensiamo a Stabiae sono le ville romane, ma queste non sono altro che la punta di un grosso iceberg nascosto nel sottosuolo stabiano.
Circa 15 metri di stratificazione, partendo dall’odierna fermata della circumvesuviana di Via Nocera, ci separa dalla civiltà antica uno strato di terreno formatosi nel corso di 2000 anni in seguito alle varie eruzioni del Vesuvio, alluvioni e ben tre maremoti attestati.
Ma che forma poteva avere una città di 2000 anni fa con influenze etrusche, greche, sannitiche e romane?
Dove arrivava la linea di costa?
Fu ipotizzata una “Stabiae lagunare” dall’intuizione del geometra Massimo Santaniello descritta nel suo primo libro Stabiae: città lagunare dell’antica Roma.
Santaniello pone i riflettori su dei particolari facilmente notabili da un qualsiasi visitatore dei plessi di Villa Arianna o Villa San Marco: in entrambe le domus si possono notare piccoli medaglioni che ritraggono spesso lo stesso paesaggio in diverse angolazioni.
Siccome Vitruvio nel De architectura racconta che i peristili delle ville patrizie erano spesso affrescati con immagini di luoghi a noi familiari o verosimili, possiamo concludere che quei paesaggi possano, molto probabilmente, rappresentare l’aspetto della Stabiae dell’epoca .
Esaminandole al dettaglio, con un occhio clinico, possiamo notare immagini ritraenti ville marittime sotto costa, che quindi sarebbero le antiche ville stabiane. Ma Santaniello, nella sua meticolosa ricostruzione non si ferma a questo dato: tramite la comparazione con altre fonti ha ipotizzato che vi fosse una schiera di ville “lagunari” per un tratto della linea di costa che varia dai 50 ai 200 metri, a partire dal costone di Varano.
Ville marittime edificate su lingue di sabbia che affioravano dall’antica laguna stabiana e adesso sepolte assieme alla loro storia.
Un ulteriore dato a conferma della tesi è stato il ritrovamento di una domus durante alcuni lavori per il raddoppio dei binari della linea Circumvesuviana, nei pressi della superstrada (Corso Italia) di Castellammare di Stabia: dai rilievi effettuati si evince che la costruzione sorgeva su un paleoalveo del fiume Sarno.
Ma la febbrile attività di Massimo Santaniello non si ferma qui, Castellammare di Stabia mantiene sempre viva la sua curiosità: una città così ricca e così sottovalutata allo stesso tempo che per rinascere ha bisogno di passione e amore natìo, una passione che il geometra ha trasmesso al figlio, Ingegner Stefano Santaniello, con cui ha dato il via ad un altro progetto relativo all’antica Stabiae. Il lavoro di Santaniello padre e figlio si è avvalso del fondamentale apporto dell’archeologo Angelo Mascolo, così le metodologie e le conoscenze di branche diverse come l’Archeologia, l’Architettura e l’Ingegneria hanno dato vita ad un progetto interdisciplinare, che ha portato alla pubblicazione del libro scritto a sei mani Stabiae: città sepolta.
In questa monografia sono affrontati vari temi relativi alla struttura dell’antica città: partendo dall’osservazione del costone della collina di Varano, gli autori descrivono i segni di quella che fu una maestosa ed ingegnosa fortificazione, testimone di un passato burrascoso, pieno di episodi bellici che misero a dura prova l’esistenza della fortificazione, tra questi l’assedio da parte delle numerose legioni di veterani di Silla.
Tutto il costone di Varano era formato da terrazzamenti e piccole gallerie dal duplice compito: sia difensivo sia per agevolare il transito tra i due livelli.
Purtroppo, sono rimasti pochi segni del glorioso passato della fortezza a causa della colata di cemento per i lavori di consolidamento del versante: un tesoro di incommensurabile valore perso a causa di esigenze contingenti.
Il valore bellico della città era noto nel mondo antico: i Sanniti capirono bene la posizione strategica di Stabiae poiché era difesa naturalmente alle spalle dai Monti Lattari e ai lati dai due grandi torrenti, quindi vulnerabile solo dal mare. Proprio per questo fu costruita la grandissima fortificazione a terrazzamenti sfruttando al massimo la geomorfologia del territorio.
Notiamo quindi che, benché si consideri Stabiae principalmente come sito romano, la zona è una testimonianza delle influenze architettoniche, culturali e urbanistiche di popoli ben più antichi come gli Etruschi, i Greci e i Sanniti.
Proprio il metodo difensivo di questi ultimi, come riporta anche Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia rese famosa Stabiae come oppidum.
Oltre ad essere un luogo di grande rilievo culturale, per la presenza di opere artistiche come il Doriforo stabiano (di cui ritroviamo l’analisi nel libro), l’antica città era un importante centro politico, come dimostra la presenza di un Senato citato in un’iscrizione: “Il senato, per volere dei cittadini, fece costruire un porto e un borgo marinaro e Difilo, benché tardo architetto, completò l’opera in cinque anni.”
La scritta fu dichiarata un falso, tuttavia i riscontri ci portano su una strada diversa.
A favore della veridicità ci sono due importanti prove: gli affreschi nelle ville stabiane che rappresentano lo stesso porto da angolazioni diverse e il fatto che vi sia la prova che Difilo abbia lavorato in Campania per Cicerone. L’architetto è infatti citato nel De Architectura di Vitruvio come uno dei pochi architetti macchinisti – con conoscenze ingegneristiche tali da progettare un porto – dell’impero, dalle abilità e conoscenze paragonabili a quelle del siracusano Archimede.
Inoltre tra le raffigurazioni presenti nei medaglioni spicca un tempio con alle spalle l’ingresso del porto.
Lo stesso tempio è rappresentato in diverse angolazioni e in diverse età a testimoniare come, durante gli anni, si siano susseguiti interventi di ampliamento o restyling della struttura.
Nei medaglioni è riportato anche un tempio a pianta circolare non poco lontano dal tempio precedentemente analizzato, e nel libro Stabia: la città sepolta viene effettuata un’interessante comparazione con il tempio di Portuno ed Ercole a Roma.
Un lavoro di notevole interesse culturale, che finalmente valorizza il patrimonio di un territorio fin troppo spesso sottovalutato. Di ciò dobbiamo soprattutto essere grati al geometra Massimo Santaniello che ha gettato le basi per questa nuova visione di Stabiae, visione che ha preso forma anche grazie all’imprescindibile collaborazione dell’archeologo Angelo Mascolo e dall’Ing. Stefano Santaniello.
Antonio Vollono