Gerda Taro: la fotoreporter empatica e rivoluzionaria
Nel corso della storia, tante sono state le donne che hanno colorato il mondo con la loro forza, grinta e coraggio.
Tante hanno fatto la differenza.
Tante hanno sofferto, lottato e creduto fino alla fine in quello che più amavano, diventando dei veri e propri esempi per le donne del domani e di oggi.
Le donne forti sono come uragani indomabili, quasi irraggiungibili, che cambiano inevitabilmente ciò che toccano e non si fermano davanti a nulla.
Proprio come Gerda Taro.
Gerda Taro è stata la prima fotoreporter donna di guerra, nonché la prima donna a morire sul campo di battaglia nell’esercizio della sua professione.
Sì, donna, specificato due volte, perché a quei tempi, una volta non era abbastanza.
Perché a quei tempi, quello della fotografia e della guerra, erano campi da sempre riservati alla creatività maschile e non femminile.
E questo rende la sua storia ancora più straordinaria.
Gerda nasce da una famiglia di ebrei polacchi ma, nonostante le sue origini borghesi, fin da giovanissima entra a far parte di movimenti socialisti e lavoratori.
Arguta, intraprendente, affascinante, dall’animo libero e, soprattutto, ribelle, per via delle sue origini è costretta a lasciare la Germania, a causa della salita dei nazisti al potere, per recarsi nella brulicante Parigi in cerca di riconoscimento e integrazione sociale.
È proprio qui, nel bel mezzo del mondo artistico e culturale parigino del tempo, ancora troppo ostile nei confronti dei rifugiati come lei, che conosce l’ungherese Endre Friedman (noto anche con il soprannome da lei attribuitogli di Robert Capa) anch’egli ebreo e fuggitivo politico, con il quale nasce subito una grande intesa sia sentimentale che professionale.
Fin da subito, Gerda pone le sue innate abilità fotografiche al servizio di una sensibilità del tutto particolare e completamente diversa da quella del compagno.
Se Capa, infatti, esprime una sorta di realismo estremo, in cui semplicemente immortala ciò che è presente nella realtà con uno scatto, Gerda, invece, fa trasparire nelle sue foto un altro aspetto della realtà.
Qualcosa di più sottile,
di più profondo,
di più difficile da trasmettere con una semplice immagine: l’empatia.
Nel 1936 entrambi decidono di seguire sul campo gli sviluppi della guerra civile spagnola, guerra che inciderà parecchio sulla vita dei due. Giunti in Spagna divennero immediatamente importanti testimoni della guerra, realizzando molti reportage per i quotidiani locali.
Durante gli anni della guerra, però, nonostante il suo importante contributo, Gerda venne progressivamente dimenticata, così come il suo ruolo che si ridimensionò al punto da ridursi a quello di semplice amante di Robert Capa.
Ma lei non era solo questo.
Non era solo un amante,
solo una donna.
Era molto di più.
Era intraprendenza, coraggio e determinazione.
Era amore per il suo lavoro e per la verità.
Un amore talmente grande che ha finito per rubarle la vita troppo presto.
Al ritorno dal fronte, infatti, Gerda perse la vita in un tragico incidente.
Per immortalare un istante all’interno di uno scatto, un carro armato la travolse senza lasciarle nessuna possibilità di sopravvivenza.
Il suo corpo fu portato a Parigi accompagnato da più di duecentomila persone e perfino Pablo Neruda decise di leggere un elogio in suo onore.
Oggi, finalmente, Gerda Taro ha ritrovato l’importanza che merita, convertendosi in un vero e proprio simbolo di donna controcorrente e rivoluzionaria, la cui esigenza di verità la portò fino all’estremo sacrificio della sua stessa vita.
Alessia Miranda