Rita Levi – Montalcini, verso l’infinito ed oltre
La nostra rubrica sulle Donne che rompono gli schemi è stata una sorta di veicolo per far conoscere al pubblico alcune figure femminili meno “gettonate”.
Seppur oggi sono fiumi i libri che parlano di voci al femminile, noi ci siamo ripromessi di esserne anche solo una minima parte, un contributo, un plauso, insomma: QUALCOSA.
Pensavo, però, che Rita Levi – Montalcini l’abbiamo conosciuta un po’ tutti, quella vecchietta vestita di tutto punto, leggermente demodè come fosse una vecchia foto, una coperta di rughe e un premio Nobel.
Quindi, come dicevo, pensavo che un tutti abbiamo conosciuto almeno un pochino la Levi – Montalcini e che, forse, ma dico solo forse, sarebbe più bello se in questo spazio ci dedicassimo alla persona più che al genio indiscusso.
Io me la immagino questa super Rita Levi – Montalcini, neurologa, accademica e senatrice a vita italiana, Premio Nobel per la medicina del 1986, che la sera va a letto stanca, distrutta e piena di paure. Sì, perché noi poveri esseri mortali, non possiamo pensare che una donna così imponente possa essere spaventata da qualcosa, non pensiamo che il lavoro di una vita combattuta, una notta, possa assalirci e che quel buio in cui tutti cadiamo, per le persone sensibili, sia un buco nero senza ritorno.
Era un periodo buio per l’umanità, le leggi razziali del 1938 avevano costretto Rita e la sua famiglia a scappare, era un’ebrea sefardita (in origine, ebrei abitanti della penisola iberica), ma non sapeva nemmeno lei in cosa credere.
«Per la religione invece mi ero trovata in imbarazzo la prima volta che mi era stata rivolta la domanda, perché sull’argomento avevo idee vaghe. Ero ebrea, israelita o che diavolo altro?»
In seguito dichiarerà:
«Sono atea. Non so cosa si intenda per credere in Dio».
Così – giovane donna ebrea, in una cultura antisemita, maschilista e dominata dalla follia lucida di chi ammazza per il gusto del sangue – cosa fa? Continua a studiare, a lavorare e a fare cose che la mia piccola mente non riesce a percepire e descrivere. E me la vedo stesa, a pensare a quando curava i suoi pazienti, puliva il loro vomito e li consolava, col peso della morte a incombere, nascosta nel buio del mondo, nella più bassa catena della società: quella dei sensibili reietti.
Vi capita mai di dire: “il nonno/papà/mamma/zia/chicchessia non è favorevole all’aborto perché è di un’altra generazione”?
La Montalcini è nata nel 1909, letteralmente in un’altra epoca, eppure, negli anni ’70 è stata partecipe del Movimento Femminile per la regolamentazione dell’aborto, ci ha dimostrato che il contesto, il dolore e tutte le scuse che ci troviamo per invadere le decisioni altrui, sono un costrutto delle nostre menti, non bisogna essere un genio per supportare una causa giusta e non bisogna essere un filosofo per decidere cosa sia “giusto” o “sbagliato”.
Onorificenze su onorificenze, lauree su lauree, titoli infiniti e infinite battaglie, ma io non credo che Rita Levi-Montalcini fosse solo questo. Se guardo questa piccola donna, se guardo questa piccola signora dalla volontà indomita e dal piglio di principessa, come raccontava Primo Levi, io vedo una combattente e non ho vinto nessun Nobel né ho mai sperato nei miei sogni più reconditi di diventare una piccola Montalcini, ma lo sento. Sento che quel volto e quelle mani appartengono a una guerriera tanto grande da finire per essere infinita, una donna fuori dai tempi del mondo che contro la società è rimasta donna fino alla fine e oltre.
Oggi dobbiamo una bella fetta della nostra dignità a Rita Levi – Montalcini e quindi non ci resta altro che ringraziarla per essere stata se stessa.
Benedetta De Nicola
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