“Viva l’Italia!” urlò il vicebrigadiere D’Acquisto
Ci sono ragazzi che crescono più in fretta degli altri; a 22 anni dovresti goderti la vita, studiare o lavorare in massima serenità, ma altri non hanno avuto la stessa fortuna: alcuni sono diventati uomini senza passare per l’adolescenza ed altri hanno deciso di rimanere per sempre giovani per far sì che altri potessero sopravvivere.
Salvo, 22 anni.
Come molti ragazzi degli anni ’30, decise di arruolarsi nell’Arma dei Carabinieri. Nel ’40 partecipò alla campagna del Nordafrica riportando una ferita alla gamba dopo uno scontro a fuoco con le truppe inglesi.
Ritornato in Italia, frequentò un corso per la nomina di vice brigadiere per poi essere destinato a Torrimpietra, provincia di Roma, il 15 dicembre 1942.
Dopo l’avvento del proclama Badoglio, due paracadustisti della 2° Fallschirmjäger-Division trovarono la morte per lo scoppio improvviso di alcune bombe a mano, dopo aver curiosato in un’ex postazione della Guardia di Finanza.
L’apatia dell’uomo nazista portò a punire ingiustamente 22 civili col metodo della decimazione e con testimoni che assistessero al nefasto evento.
Salvo cercò di spiegare che era stato un caso fortuito e che non c’erano colpevoli, ma i tedeschi minacciarono una rappresaglia e così, all’alba del giorno dopo, catturarono 22 italiani per giustiziarli, come monito verso gli altri.
Anche il vicebrigadiere D’Acquisto fu prelevato dalla sua caserma e, dopo aver cercato di convincere nuovamente i tedeschi che la morte dei paracadutisti fu di natura incidentale, decise di ottemperare al suo giuramento: il sacrificio della sua vita per il bene degli altri.
Secondo il testimone Angelo Amadio, tutti furono improvvisamente liberati tranne il brigadiere D’Acquisto. Mentre Amadio si accingeva a scappare sentì urlare “Viva l’Italia” e poi raffiche di spari continui.
22 anni per 22 vite umane, un segno di ribellione e di coraggio sbattuto in faccia alla ferocia nazista che pensava di poter incutere timore, quando invece, anche davanti alla morte, Salvo D’Acquisto contenne dignità ed impassibilità.
Il sacrificio del giovane carabiniere ci fa notare come le guerre distruggano le migliori anime di una generazione; non sopravvive chi è più adatto ma chi è più forte e, a volte, i più forti sono i più codardi ed irriconoscenti.
Ma cosa possiamo imparare da Salvo? Che il sacrificio, qualunque sia la sua forma, non verrà mai dimenticato e che i suoi effetti ricadranno nel tempo.
Possiamo imparare a non abbassare la testa dinanzi la prepotenza del più forte o del più arrogante.
Salvo non è altro che un punto di congiunzione tra due vedute dell’epoca bellica: chi era per i partigiani e chi per la dittatura; chi pensava che Salvo non fosse altro che un traditore della patria e chi combatteva per quest’ultima.
Sono interessanti le figure degli estremisti che, pur non avendo vissuto in quello specifico contesto sociale e storico, denigrano o innalzano al cielo questo 20enne; da una parte per la divisa che indossava e dall’altra per essere andato contro i suoi “amici”, ovvero i tedeschi.
Oggi c’è ancora la concezione del carabiniere, poliziotto o qualunque altro membro appartenente alle forze dell’ordine, come un simpatizzante di estrema destra con un mezzo busto di Mussolini nel salotto di casa, quando invece non è assolutamente così.
Oltre Salvo, possiamo ricordare anche altri carabinieri morti per la difesa dello Stato e, soprattutto, per la difesa dei suoi cittadini, perché i cittadini sono lo Stato, solo che alcuni erano consci di ciò che sarebbe accaduto ed altri non avrebbero potuto prevederlo.
Forse era anche la società bellica a spronarti a compiere certi atti di coraggio che noi, ragazzi di oggi, potremmo soltanto immaginare.
Ma il suo essere, prima uomo e poi carabiniere, ha portato i suoi frutti: celebrazioni, intitolazioni di scuole, monumenti, strade ed il ricordo perenne di un giovane uomo che ha sacrificato la propria vita senza pensarci due volte, per la difesa dello Stato e la salvaguardia dei suoi cittadini.
Non esiste un’età specifica in cui si diventa uomo, ma è il modo di condurre o, in alcuni casi, di sacrificare la tua vita che ti rende tale.
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Antonio Vollono