L’intersessualità esiste e no, non è un orientamento sessuale
Parlare di questioni di genere e sessualità rischia sempre di generare una confusione che sarebbe difficile da immaginare se certi argomenti non fossero vissuti, ancora oggi, come tabù.
Una delle categorie più discriminate dagli stereotipi della società è quella dei soggetti intersex – facciamo chiarezza sulla questione “intersessualità” in tutte le sue declinazioni.
Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, il termine intersex non si riferisce ad alcun orientamento sessuale; “intersessualità” è infatti un’espressione che racchiude in sé svariate ramificazioni e molteplici forme, ognuna riferita a una particolare variazione fisica, nell’individuo in questione, che riguarda elementi del corpo generalmente considerati “sessuati”.
Conosciamo tutti ormai la distinzione tra sesso biologico e gender, ma questa separazione, prima ancora di farsi strada nei dibattiti delle scienze sociali, è nata in campo scientifico dall’esigenza di differenziare l’insieme dei tratti genetici e le caratteristiche fisiche – si parla rispettivamente di genotipo e di fenotipo – degli individui assegnando loro una categoria di riferimento. Per questo motivo, quindi, si è dato un genere alla forma dei genitali, agli organi riproduttivi e alle gonadi, per poi passare a un piano più specialistico al fine di analizzare e distinguere anche quei tratti “invisibili” che sono i cromosomi, gli ormoni e i cosiddetti marker genetici (marcatori al livello genetico che guidano lo sviluppo dell’organismo).
Verrebbe spontaneo chiedersi, a questo punto, in quale di questi componenti risieda la definizione di sesso biologico comunemente inteso. Capita spesso, ormai, che i cromosomi del sesso siano visti come i custodi della verità assoluta sul sesso biologico effettivo di un soggetto; in realtà esso potrebbe essere pensato, più ampiamente, come la nostra impressione generale delle peculiarità del sesso maschile e femminile, immagini stereotipate dal nostro bagaglio socio-culturale. Le più influenti correnti della biologia non sono ancora d’accordo su quali siano gli aspetti primari di differenziazione tra il genere maschile e quello femminile, considerando anche altri fattori di evidente distanza tra i due: le funzioni riproduttive, quindi produzione del seme, inseminazione, gestazione e via dicendo; caratteristiche sessuali secondarie quali la crescita di capelli, sviluppo mammario, voce, rapporto tra massa muscolare e massa grassa; infine il diverso processo attraverso cui i due sessi raggiungono la pubertà. In definitiva, quindi, la scienza non può vantarsi dell’oggettività assoluta, neanche per quanto riguarda il sesso biologico, perché esso è dettato da un’interpretazione sociale dei ruoli nell’ambito della riproduzione e da storiche costruzioni collettive di quello che dovrebbe essere il genere di un corpo.
Le persone intersessuali presentano dei caratteri sessuali che non possono essere identificati con le tipiche nozioni binarie del genere maschile o femminile; solo in determinate circostanze questa condizione implica dei problemi di salute correlati, eppure gli individui aventi queste particolarità biologiche spesso si ritrovano a subire pesanti medicalizzazioni a causa della loro difficile collocazione in un genere sociale tipicamente definito. Si stima che a nascere con tratti intersex sia una percentuale della popolazione mondiale tra lo 0,05% e l’1,7%, circa 30.000.000 di individui, un numero non molto dissimile da quello delle persone con i capelli rossi.
Vi sembra forse una condizione così rara?
Gli intersessuali possono, come tutti, sentirsi a proprio agio col genere a loro assegnato alla nascita, solitamente quello a cui appartengono le caratteristiche sessuali predominanti, se ci sono, o in caso di ambiguità quello stabilito dai genitori, oppure identificarsi in un altro – nel primo caso parliamo di individui cisgender, nel secondo di transgender.
Allo stesso modo, l’orientamento sessuale non viene in alcun modo determinato dalla loro condizione fisica, come si è pensato fino a tempi molto recenti. La terapia medica si concentrava, infatti, sugli aspetti estetici della presentazione del sesso biologico, formulando teorie di corrispondenza tra l’aspetto somatico del corpo e l’identità del genere. Un atteggiamento simile è detto medicalizzazione, perché infonde l’errata concezione secondo cui un aspetto sociale ma altamente intimo come quello della presentazione di genere debba essere di competenza medica.
Avere cromosomi di genere diverso, genitali ambigui o variazioni di determinati caratteri non rappresenta di per sé una malattia, ovvero una condizione “anormale” dell’organismo, ma ci sono alcune forme di intersessualità che tendono a presentarsi unite ad altre problematiche realmente mediche o a squilibri ormonali.
Non sono stati pochi i casi in cui pratiche di intervento diretto sui caratteri sessuali dei neonati intersex siano state messe in atto quando i soggetti interessati non erano assolutamente in grado di prendere le proprie decisioni in merito. Pensando anche nell’ottica delle conseguenze di determinati interventi, si intuisce come essi possano essere dannosi quando imposti in maniera paternalistica, senza il consenso informato e l’adeguata consapevolezza dell’individuo.
Ancora una volta, la causa di una tale violazione dei diritti umani è la disinformazione. Sottoporre, già dalla tenera età, gli individui intersessuati ad inutili e abominevoli interventi chirurgici, insostenibili cure ormonali e terapie mediche, allo scopo di rendere la loro fisionomia quanto più conforme agli stereotipi sessuali binari, soprattutto se non clinicamente necessario, è un oltraggio alla libertà di queste persone di vivere nel proprio corpo, accettandolo e amandolo nella sua diversità. Tali procedure, spesso irreversibili, possono causare nel soggetto infertilità permanente, dolore, incontinenza, perdita di sensibilità e, di conseguenza, una serie di problematiche nel vivere la propria sessualità, difficoltà a trovare un’integrità come persona e l’autostima, non semplici da costruire quando la propria condizione è vista come qualcosa da correggere.
Nessun corpo dovrebbe essere motivo di vergogna, è arrivato il momento di rispettare e imparare ad amare la diversità in tutte le sue meravigliose forme.
Rebecca Grosso
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