Ed, Edd & Eddy: il quartiere che non c’è
Esiste il quartiere di una città dai disegni definiti che non ha via di fuga e in cui si concentrano vicende assurde. No, non è la scarna ed essenziale scena costruita nella Dogville di Lars Von Trier.
Di che si tratta? Impossibile che non ricordiate la voglia matta di assaggiare una deliziosa spaccamascella al modico prezzo di 25 centesimi. Improbabile è anche che non vi tornino in mente le avventure di un trio famoso che ha accompagnato i nostri irrecuperabili pomeriggi segnati da merende e Cartoon Network.
Es, Super-io e Io. È possibile che ci sia stata data una definizione di queste tre istanze prima che conoscessimo Freud? Probabile, ma ancora di più lo è il fatto che il famoso trio formato da Ed, Edd (Doppia D) e Eddy sia in realtà lo svisceramento di tre aspetti comportamentali e psichici del loro creatore, Danny Antonucci, come lui stesso ha dichiarato. Guardandoli con gli occhi dell’ex futuro e attuale presente delle nostre nozioni, gli “Ed” sembrano un unico nucleo vivente e come ben sappiamo ognuno possiede proprie caratteristiche peculiari che animano l’insieme. Ed è il bamboccione distratto e imbecille che insegue, senza pensarci troppo, anzi affatto, i suoi istinti. Lo faremo coincidere con l’Es. Poi c’è Edd, il sapientone perfezionista e ansioso che sembrerebbe ricadere nella sfera del Super-io, e Eddy il calcolatore furbastro e avido che cerca nuove avventure e modi di procurarsi denaro cercando di equilibrare la macchina degli Ed e di portarla alla vittoria. Il suo essere mediatore tra un babbeo senza controllo e un piccolo genio ossessionato dall’ordine gli fanno assumere il ruolo dell’Io all’interno del gruppo che si muove in un quartiere di Peach Creek.
Il luogo in cui sono immerse le vicende è una periferia di pochi spazi vitali in cui sembrano abitare solo i ragazzini, punti focali dell’intera serie che attraverso strambe e surreali avventure ci trascinano a giocare nelle loro case, sull’asfalto e perfino nella discarica. Insomma, questo quartiere senza via d’uscita, abitato da piccoli padroni del loro destino e delle loro azioni, allo sbando in una realtà in cui non c’è spazio per la rivelazione dell’adulto, sembra essere una circoscritta Isola che non c’è di cemento e casette a schiera che lasciano spazio a pochi altri quadri della scena suburbana quasi sempre estiva. La lotta per la sopravvivenza è in realtà duplice: da un lato abbiamo quella per l’accettazione all’interno della piccola società e poi c’è la conquista dei dolciumi, le deliziose caramelle vendute nel sacro negozio che sembra un tempio inaccessibile a causa della mancanza di denaro propria di giovani fanciulli che cercano continui stratagemmi per ottenerlo.
Ognuno di loro rappresenta un tipo, un carattere parodiato in miniatura del “macroverso” sociale del reale. Per esempio, abbiamo Ralf, lo straniero zoticone proveniente dal “Vecchio Paese” che non riuscirà mai a integrarsi del tutto, a causa delle strambe abitudini ereditate dal luogo natio. Poi c’è Jimmy, l’effeminato amico di Sarah, sorella di Ed, ragazza irascibile e protettiva nei confronti dell’amico spaventato da qualsiasi cosa.
Kevin rappresenta l’ideale da ostacolare in quanto carismatico e “fortunato” nel possedere un padre che lavora nella fabbrica di dolciumi e così tutti gli altri sono inseriti per dar voce a chiunque possa rispecchiarsi in queste semplici identità irriverenti.
Tutto tende alla dolcezza dello zucchero e alla riconquista dello spazio infantile che è, secondo me, il fine ultimo di questo programma. Le lingue tinte diversamente dei personaggi rappresentano la loro insaziabile fame di conservanti e coloranti e il nostro bisogno attuale di dare nuovamente tonalità a quel piccolo rifugio dove si nasconde il fanciullino che continua a masticare chewing-gum mentre ci guarda avviarci verso il grigio e diventare noi stessi le ombre degli adulti che erano in secondo piano.
E se questa Pleasantville chiusa nei confini di storie fanciullesche e bizzarre fosse in realtà un sogno di Tavoletta, scarrozzato e decifrato da Jimmy? Se così fosse noi spettatori ancora una volta, “lynchianamente”, aspetteremo che la rivelazione circa il nostro destino arrivi da un pezzo di legno.
Grimaldi Maria Cristiana