Leggere è solo un modo particolare di guardare
Il cervello umano è un vero mistero, e studiare come funziona significa più che altro osservarlo mentre svolge un compito. Pensate alla lettura: il vostro occhio si muove continuamente, fornendo un sacco di stimoli al cervello da interpretare… Ma non penserete mica che basti qualche “neurone della lettura” e il gioco è fatto?
La questione, qui, è molto più complessa.
Le aree della corteccia celebrale coinvolte nella lettura sono almeno una decina ed operano all’unisono per il riconoscimento dei segni, l’estrazione del significato e l’integrazione delle parole nella frase, senza dimenticarci che c’è anche da capire come vengono pronunciate. Solo a descriverle si fa confusione, ma tutte queste funzioni avvengono in millesimi di secondi.
Ma il mistero non è finito.
Ovviamente tutte queste funzioni non sarebbero possibili senza l’altro organo umano che è l’occhio. Da secoli si sta cercando di capire l’esatto comportamento degli occhi e del cervello durante la lettura, e sappiamo di sicuro che l’occhio si muove per “saccadi”, ossia fa dei grandi salti avanti e indietro nel testo, che si alternano a delle “fissazioni” necessarie all’occhio per intercettare le parole-chiave ponendole al centro della retina, dove si trova l’area più sensibile dell’occhio, la “fovea”.
La visione delle parole secondarie è invece affidata alla “visione parafoveale”, meglio conosciuta come “coda dell’occhio”. E, contro ogni luogo e credenza comune, ogni occhio osserva ciò che vuole, fissandosi su certe parole e scavalcandone altre e, solo una volta arrivati al cervello, i dati vengono riuniti ed elaborati.
Ma una volta viste, come vengono interpretate le parole?
Sappiamo che le parole sono costituite da lettere, e sappiamo che le lettere sono solo dei simboli che indicano un suono, e che possono essere diverse in base alla cultura di appartenenza. Il pregiudizio umano è che la scrittura sia un tipo più elevato di comunicazione rispetto alle immagini, ma così come le immagini veicolano un significato lo fanno anche le lettere, che in fondo sono solo delle figure come lo sono altri segni semplificati.
Dire che la scrittura sia diversa dalle figure è una prerogativa strettamente occidentale, mentre in altre culture questa distinzione non è così marcata. Lo stesso sviluppo della corteccia umana ce lo dimostra: essa non si è evoluta per leggere, non c’è stato ancora tempo sufficiente (la scrittura esiste da pochi millenni rispetto alla venuta dell’homo sapiens duecentomila anni fa). Ma il cervello sa ed è provvisto di neuroni capaci di imparare ad attribuire significati a forme convenzionali.
Per questi motivi la tipografia conta: i caratteri tradizionali come il Times New Roman possono facilitare la lettura a differenza di un Helvetica che ha le lettere b e d uguali ma solo specchiate, perché i neuroni di cui stiamo parlando cercano di tenere sempre la visione d’insieme e riconoscere le lettere specchiate cause delle difficoltà. Così come in questo caso, vanno considerati i comportamenti degli occhi e del cervello per migliorare la visibilità e la leggibilità di un testo.
Cos’è, quindi, l’attività del leggere se non un modo particolare ed ordinato di guardare?
Carolina Niglio