Tribù Toraja: indovina chi viene a cena (anche se è morto)?
Ogni anno il calendario ci ricorda tutte le ricorrenze più importanti che vengono celebrate con gioia o con tristezza e tra tutte il due novembre è sicuramente uno dei giorni più importanti da rammemorare. Questo infatti è il giorno che la Chiesa cattolica dedica alla commemorazione dei fedeli defunti, ricorrenza che affonda le sue radici già a partire dal IX secolo grazie all’abate benedettino Odilone di Cluny.
Durante questo giorno così importante, soprattutto per i credenti, si ha l’usanza di pregare e onorare le anime dei nostri cari scomparsi che si sono addormentati nella speranza della resurrezione, sperando che le nostre preghiere possano accompagnare il defunto verso un cammino di pace. Esattamente per questo motivo durante il “giorno dei morti” è consuetudine per i più visitare i cimiteri al fine di porre sulle tombe dei propri cari fiori e lumini in segno di commemorazione e devozione, ma in varie parti del mondo le usanze potrebbero essere differenti e forse un po’ più macabre. O almeno in Indonesia.
Nei remoti altopiani del sud dell’isola indonesiana Sulawesi, situata tra il Borneo e le isole Molucche, infatti, è nascosta l’isola Toraja dove il tempo sembra essersi letteralmente fermato. In questo luogo quasi sconosciuto e rimasto isolato dal resto del mondo per molto tempo viene eseguita ancora oggi una delle pratiche relative al culto dei morti più singolari e forse macabre di sempre. Un rituale ammaliante che negli ultimi anni ha attirato milioni di visitatori incuriositi da ogni parte del mondo.
Dovete sapere che i Toraja, uno dei gruppi etnici sicuramente più affascinanti del mondo, sono rimasti saldamente ancorati all’antica tradizione del culto animista chiamato Aluk To Dolo secondo cui il mondo è diviso in mondo sotterraneo (il mondo dei morti), il mondo terrestre (ovvero quello abitato dagli uomini) e infine quello superiore (il paradiso) chiamato Puya. Proprio per questa credenza il rito funebre si dimostra essere uno dei momenti più importanti ed elaborati poiché il fine di tale rito è quello di assicurarsi che l’anima del defunto riesca a raggiungere la terra di Puya situata, secondo la credenza, in qualche parte tra gli altopiani. Una volta che l’anima ha raggiunto l’aldilà potrà tranquillamente continuare a svolgere la sua vita potendo contare sui doni che le vengono offerti durante il rito funebre. Tutte le anime che, invece, per qualche motivo non riusciranno a raggiungere Puya diventeranno “Bombo”, ovvero “spiriti cattivi” destinati a minacciare ed infastidire gli abitanti del mondo terrestre. Capiremo bene quindi che il tiro funebre svolge un ruolo di primaria importanza all’interno della società Toraja poiché serve a mantenere l’armonia tra i tre mondi.
Secondo gli abitanti di quest’isola la morte non è un evento brusco e improvviso quanto piuttosto un processo naturale e un passaggio obbligatorio che serve per condurre l’anima in un posto migliore. Ecco perché una persona non viene mai definita morta ma semplicemente addormentata. Essa è morta davvero solo quando viene celebrato il rito funebre che avviene giorni e delle volte anche anni dopo l’effettiva morte del corpo. I cadaveri vengono infatti imbalsamati e conservati nella casa natale fino al funerale: celebrazione complessa che dura dai cinque ai sei giorni.
Dopo il funerale il corpo viene seppellito sugli altopiani accompagnato da danze e banchetti. Ma non è con la sepoltura che i rituali finiscono e se noi abbiamo l’usanza di porre sulla tomba del defunto un fiore nel suo ricordo, loro… beh, sì, li invitano a cena.
Avete capito bene, è tutto vero. Ogni anno infatti, nel caldo mese di agosto che simbolicamente rappresenta il nostro due novembre, durante un rito che viene chiamato Ma’Nene, il popolo si reca sugli altopiani per disseppellire letteralmente i propri cari. Una volta estratto il corpo, questo viene lentamente tolto dai molteplici veli colorati che lo hanno avvolto in questi anni di “riposo”. Con delicatezza ed attenzione viene successivamente spazzolato, pulito ed infine viene riavvolto in abiti o stoffe pregiate mentre i parenti gli offrono doni e beni necessari che possono servigli per una buona vita nel regno di Puya. Terminata questa prima parte del rituale, il defunto viene portato in giro per il villaggio poiché è importante che lo spirito possa far ritorno a casa e successivamente ritorna nella sua casa d’origine dove potrà banchettare insieme ai vivi. Insomma “aggiungi un posto a tavola che c’è un amico in più”. Alla fine di questa giornata il corpo viene riportato nel proprio luogo di eterno riposo, almeno fino all’anno successivo.
Che questa usanza sia tra le più macabre beh, non ci sono dubbi, ma questo infondo è solo un altro modo di guardare la morte. In occidente non facciamo altro che temerla, molti di noi passano tutta la vita ad avere paura della falce nera mentre in oriente la venerano e la celebrano come un evento normale della vita. Per la tribù Toraja la morte è una combinazione di allegria e tristezza.
Adele De Prisco