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Constance Dowling, gli occhi della “amata morte” di Pavese

Che viso dovrebbe avere la morte?
Che nome? Che sguardo?
Queste sono domande a cui probabilmente non abbiamo mai pensato, ma Cesare Pavese sì, invece, ed era più che certo che la sua morte avesse gli stessi occhi di Constance Dowling, un’attrice americana con la quale ebbe una relazione e che, per lui, fu l’ultimo grande e tormentato amore.

La Dowling visse e recitò in Italia tra il 1946 e il 1950 e fu proprio in quest’ultimo anno che Pavese la conobbe, insieme a sua sorella Doris, in una sera di capodanno, a casa di amici a Roma.
Bastò un solo sguardo per farlo innamorare e cercò disperatamente di avvicinarsi a lei, ma senza alcun successo.
Il destino, però, li avrebbe fatti incontrare una seconda volta a Torino e lì, dopo aver trascorso alcuni giorni insieme, iniziò il loro intenso idillio d’amore che, però, ebbe vita breve. Con la fine di quei giorni, infatti, finì anche la loro fugace e passionale relazione e Constance partì per Roma lasciando Cesare con il cuore a mille e l’anima spezzata e, proprio per questo motivo, decise di placare il suo enorme dispiacere scrivendole la prima di numerose lettere, a nessuna delle quali seguì mai una risposta.

“Cara Connie,
[…] ti amo.
Di questa parola so tutto il peso – l’orrore e la meraviglia – eppure te la dico, quasi con tranquillità. L’ho usata così poco nella mia vita, e così male, che è come nuova per me. […] Amore, il pensiero che quando leggerai questa lettera sarai già a Roma – finito tutto il disagio e la confusione del viaggio -, che vedrai nello specchio il tuo sorriso e riprenderai le tue abitudini, e dormirai da brava, mi commuove come tu fossi mia sorella. Ma tu non sei mia sorella, sei una cosa più dolce e più terribile, e a pensarci mi tremano i polsi”.

Solo quando Pavese venne a conoscenza della relazione di Constance con Andrea Checchi, un attore conosciuto sul set del suo ultimo film, e con il quale progettava di tornarsene in America, si rese conto che le mancate risposte alle sue lettere, erano dichiarazioni silenziose di una terribile verità: non aveva più posto nel cuore della sua amata.
Di fronte l’amara consapevolezza di averla persa per sempre, scrisse con estrema urgenza le sue ultime poesie, tutte raccolte all’interno della celebre “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, contenente dieci poesie inedite (otto in italiano e due in inglese) tutte dedicate a Constance Dowling.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.”

Questa poesia, che diede il nome all’intera raccolta, fu per Pavese un drammatico sfogo del tormento e della disperazione che provava dentro e del profondo dolore con cui fu costretto a convivere, di fronte la consapevolezza di un amore non ricambiato e che era stato, per lui, ragione di vita, di sogno e di speranza.

Gli occhi dei quali si era innamorato, gli occhi che lo avevano fatto sentire come se tra milioni di persone lei avesse scelto di guardare proprio lui, gli occhi dell’amore, erano diventati per lui gli occhi del dolore e della morte.
La morte che guarda, per l’ultima volta, la sua vittima, prima di toglierle ogni ragione di sopravvivenza.
Per Cesare, quegli occhi crudeli, erano quelli della sua Connie, quegli occhi tanto amati e che ora erano la fine della vita e di ogni gioia, la morte dell’io poetico, perché senza di lei non riusciva più a scrivere poesie.
La vera ispirazione poetica era venuta con lei e con lei se n’era andata e ora si sentiva più vuoto e perso che mai.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi fu l’ultima opera scritta da Pavese, poco dopo la sua stesura, lo scrittore venne trovato morto nella sua camera d’albergo, dopo aver ingerito 12 bustine di sonniferi.
La morte, per lui, gli parve l’unica soluzione per salvare la sua anima dal terribile mal di vivere che provava.
Un mal di vivere che aveva il nome di Constance.

Quasi vent’anni dopo la morte di Pavese, morì anche la Dowling a seguito di una malattia, anche se alcune fonti private sostengono che la giovane donna, in realtà, si fosse uccisa con la stessa modalità con cui lo fece Pavese, lo scrittore che, nonostante il tempo e nonostante i tanti amori, non aveva mai dimenticato.

Non sappiamo con certezza né come Constance sia morta davvero, né dove sia andata dopo averla lasciata, ma una cosa è certa: i suoi occhi, quelli profondi, quelli per i quali Pavese soffrì e scrisse tanto, guardano di nuovo quelli dello scrittore.
Ora quegli occhi non hanno più a che fare con la morte, con qualcosa che finisce, ma con il per sempre, quello che, quando erano in vita, nessuno dei due ebbe il coraggio di confidarsi.

 

Alessia Miranda

 

La Redazione

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