I prigionieri di Alcatraz e la grande fuga
Consigliamo la lettura dell’articolo con l’accompagnamento della famosissima colonna sonora di Ennio Morricone The Ecstacy of Gold.
No, non è il titolo sbagliato del film di Harry Potter e non stiamo parlando dell’evasione di Sirius Black ma della reale grande fuga di tre detenuti che forse non tutti conoscono.
Ma procediamo con ordine.
Alcatraz, nota a molti, è un’isola situata nei pressi di San Francisco famosa per aver ospitato nel 1934 il famosissimo carcere “di massima sicurezza” considerato tale poiché, essendo la struttura situata su una roccia circondata dal mare, se ne credeva impossibile, o quasi, la fuga.
Soprannominata anche The Rock (la roccia) o The Bastion (la fortezza), la prigione, che ha affascinato anche la famosa Hollywood e tutti i migliori botteghini, è considerata ancora oggi nell’immaginario collettivo, non solo il luogo da cui è impossibile fuggire, ma a causa della durezza con la quale venivano trattati i detenuti, è considerata un vero e proprio inferno che, a 59 anni dalla chiusura, incute ancora timore.
Alcatraz, l’incubo dei prigionieri, ospitava all’interno coloro che venivano considerati i più “pericolosi” galeotti (a tal proposito ricordiamo che anche Al Capone ha soggiornato per ben 4 anni tra quelle mura) o coloro che avevano già tentato la fuga da altre carceri. Esattamente per questo motivo i catturati venivano rinchiusi dentro stanze singole, particolarmente piccole, senza possibilità di svago: anche il lavoro non era concesso a tutti e anzi, era un privilegio che potevano conquistarsi solo con la buona condotta.
Ma nonostante la posizione scomoda, le acque gelide, le fughe di gas preparate per essere rilasciate in caso di complotto e i dissennatori, ehm scusate, le guardie, meglio note come i “mastini”, a tenere sott’occhio i prigionieri, la fuga non fu poi così impossibile.
Durante i 29 anni di apertura del penitenziario infatti ci furono ben 14 tentativi di evasione da parte di 36 coraggiosi detenuti. La maggior parte di questi ebbero degli esiti disastrosi considerando che parecchi persero la vita, ma tra gli audaci abbiamo tre vincitori. Di chi stiamo parlando? Ma di Frank Morris, e i fratelli John e Clarence Anglin.
Ma come hanno fatto a fuggire dal temutissimo carcere?
Chiaramente non ci fu nessuna trasformazione in qualche animagus alla Sirius Black ma i protagonisti che aiutarono la grande fuga furono una zattera e dei cucchiai da tavola. Avete capito bene. I tre infatti, in meno di un mese, riuscirono a costruire una piccola zattera rudimentale con i materiali rubati dalla mensa e con dei cucchiai presi dalla stessa riuscirono a scavare delle buche, visibili ancora oggi nelle loro vecchie stanze, all’interno della griglia d’areazione delle celle. Buche che sbucavano direttamente fuori dalle mura del penitenziario. Capirete bene che con oltre 100 guardie di pattuglia, era un po’ difficile riuscire a scappare senza dare nell’occhio ma i fuggitivi pensarono a tutto: per far credere ai mastini di essere ancora a letto, costruirono delle maschere aiutandosi con la carta e il sapone, che richiamassero i propri tratti somatici. E ci riuscirono alla grande. La fuga, infatti, fu scoperta solo il mattino seguente. Nell’immediato furono mobilitati oltre 300 agenti dell’FBI, 200 soldati, elicotteri e guardia costiera con l’ordine di ispezionare ogni angolo della struttura ma, dei tre non ci fu mai più traccia: né di vita, né di morte. Pur di non ammettere la sconfitta, l’FBI chiuse il caso dichiarando l’impossibilità della sopravvivenza in mare.
In realtà, ad anni di distanza dal caso, alcuni parenti dei fratelli Anglin, hanno consegnato una serie di prove in cui si attestava la sopravvivenza di questi che erano riusciti a scappare in Brasile.
Ancora nessuna certezza. Quale fu la reale fine dei prigionieri non è dato sapere. A 50 anni dal caso il tutto giace nelle acque del mare, unico testimone della fuga.
Adele De Prisco
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