Pietre d’inciampo: come sbucciarsi la memoria
Camminare e guardarsi i piedi è probabilmente una delle peggiori abitudini se non si vuol sbattere la testa contro un palo! Eppure, l’intento di alcune strade d’Europa è proprio questo: far inciampare sì, ma nei ricordi.
Ero a Milano, precisamente a Via Correnti, poco distante dal mio B&B in cerca di un posto carino ed economico che m’ispirasse per fare colazione. Cammino, con la mia solita fretta – di che cosa poi? – e la strana mania di guardarmi le scarpe. Qualcosa mi salta all’occhio ma io proseguo alla ricerca di un cornetto, fin quando non ricordo una lezione di Metodologia e Teoria della Storia dell’Arte seguita al primo anno di Accademia e capisco: ho appena trovato una pietra d’inciampo!
Un progetto che nasce dalla strabiliante mente dell’artista tedesco Gunter Demnig e ha inizio nel 1993, anno in cui il suddetto autore si trovava a Colonia per un lavoro sull’esilio di cittadini rom e sinti, quando un’anziana signora negò le migliaia di deportazioni avvenute in quella città. L’artista decise così di raccontare e soprattutto ricordare i cittadini scomparsi a causa delle infinite persecuzioni naziste: ebrei, politici, militari, rom e omosessuali.
Le pietre d’inciampo – Stolpersteine – rappresentano il più grande monumento dislocato alla memoria del mondo. La prima fu installata a Berlino fino a posizionarne circa 71.000 in tutta Europa. Hanno una forma molto familiare ma che si allontana dalla solita targa commemorativa, motivo per cui è anche molto difficile notarle.
La cosa più strana dei monumenti è che non si notano affatto, sono invisibili eppure sono fatti per ricordare una comunità, un certo fatto importante. Ma nel momento in cui si affida a una statua il compito di ricordare, si passa ad altro e improvvisamente quell’evento rotola nei posti più bui della nostra memoria. Per questo motivo le pietre d’inciampo di Demnig sono considerate una sorta di antimonumento: cominciare a pensare al monumento non più come una forma d’arte ma come una forma culturale che può anche funzionare in maniera diversa ed essere improntato alla relazionalità.
Le Stolpersteine sono ideate come veri e propri sanpietrini con una dimensione di cm. 10x10x10 e una targa d’ottone posta sulla faccia superiore del “cubetto” sulla quale sono incisi nome e cognome della persona, la data d’arresto, il luogo di deportazione e la data di morte se conosciuta. La pietra è sempre posta sul marciapiede corrispondente all’abitazione da cui è stato prelevato l’individuo o all’ultimo luogo di prigionia.
Il deportato così torna metaforicamente nella propria casa, per essere ricordato da parenti e amici. Demnig decide di operare sulla banalità dell’abitazione perché è la cosa di cui si è privati. Si parla perciò di un’assenza che l’artista cerca di colmare. Un sanpietrino diverso che inevitabilmente spinge a interagire con la persona che vi passa consentendo l’elaborazione di un lutto difficile. Un’istallazione che si mescola alle strade, ai vicoli, alle piazze e quindi al tessuto urbano, per ricordare dal punto di vista etico e collettivo il caso della Shoah. Parliamo quindi di un inciampo mentale ed emotivo, non fisico. Un inciampo che ha bisogno della distanza ravvicinata per essere notato e osservato, un inciampo che fa bloccare il passo e voltare indietro.
L’artista prepara e interra personalmente ogni pietra, consapevole della responsabilità che ne comporta:
“Sono sempre inorridito ogni volta che incido i nomi, lettera dopo lettera. Ma questo fa parte del progetto, perché così ricordo a me stesso che dietro quel nome c’è un singolo individuo. Si parla di bambini, di uomini, di donne che erano vicini di casa, compagni di scuola, amici e colleghi. E ogni nome evoca per me un’immagine. Vado nel luogo, nella strada, davanti alla casa dove la persona viveva. L’installazione di ogni Stolperstein è un processo doloroso ma anche positivo perché rappresenta un ritorno a casa, almeno della memoria di qualcuno”.
La prima pietra in Italia fu posata a Roma il 28 gennaio 2010 grazie al progetto “Memorie d’inciampo” curato dall’associazione Arte in Memoria. Negli anni successivi sono poi susseguite altre città italiane: Genova, Livorno, L’Aquila, Milano, Torino, Venezia etc… Ancora oggi la collocazione continua infatti, alla cifra di 120 euro, chiunque fosse interessato può richiedere all’artista la “pietra” davanti al proprio portone!
A Milano, quel giorno, in via Correnti n. 12 i miei piedi hanno ritrovato memorie e consapevolezza. Non avevo più voglia di fare colazione, ero già sazia.
Serena Palmese