Avvistato vampiro al teatro Bellini di Napoli: Dracula di Sergio Rubini
Una strana foschia ha avvolto il teatro Bellini di Napoli. Si narra di oscuri episodi provocati da una forza demoniaca nascosta nella platea. Aiuto! Non temete, è solo lo spettacolo teatrale Dracula diretto da Sergio Rubini, andato in scena dal 17 al 26 gennaio.
Non è un’esagerazione, l’atmosfera era davvero raggelante. Scenografia da paura, letteralmente!
La storia è tratta da un romanzo del 1897 di Bram Stoker, che è diventato un best-seller del genere gotico, dando avvio a numerosissimi remake. Nonostante lo conosciamo a memoria, non smette mai di affascinarci e di farci correre un brivido lungo la schiena.
La leggenda dei vampiri esiste da millenni, ma diviene popolare, causando un’isteria collettiva, nel XVII secolo dopo la messa per iscritto di tradizioni folcloristiche dell’ Europa dell’Est. Nel nostro immaginario si è imposta con il conte dei vampiri, lui, il vampiro per eccellenza: Dracula.
Sergio Rubini e Carla Cavalluzzi riscrivono questo capolavoro che trasportato in teatro si potenzia, dando forma fisica e visiva alle nostre fantasie più tenebrose. Rispetto al libro la trama si snellisce e si velocizza per un totale di due ore piene che scorrono piacevolmente senza accorgersene.
Il pubblico viene risucchiato nell’Inghilterra di fine ‘800, ottenebrata dall’arrivo di una nave fantasma guidata da un morto legato al timone e da un cane inferocito. I cittadini inglesi non potranno più dormire sonni tranquilli.
Sul palco buio si accende un riflettore puntato su un giovane uomo clino su di una scrivania. È il bravissimo attore Luigi Lo cascio nelle vesti dell’avvocato Jonathan Harker intento a rileggere il suo diario scritto durante il viaggio di lavoro in Transilvania, l’orribile viaggio che gli ha stravolto l’esistenza. Vi si è recato per trattare l’acquisto di un’abitazione a Londra con un nobile del posto, il conte Dracula. Si è accorto subito, ma purtroppo già troppo tardi, che il conte nascondeva terribili segreti e che il castello sarebbe divenuto la sua prigione.
Dunque la scena si apre in medias res, dopo che il protagonista è riuscito a sfuggire e cerca di far mente locale tra i suoi ricordi, talmente scioccanti che il suo subconscio li ha rimossi. Sarà proprio il suo diario il motore portante dell’azione che permetterà di ricostruire la sua esperienza e di comprendere la natura del pericolo incombente.
La seconda ad entrare in scena è Mina ( Margherita Laterza), moglie di Jon, alla quale egli affida il suo diario, ammonendole di non leggerlo. Ma si sa come vanno a finire queste cose e, ovviamente, lo legge. La sola lettura la turba a tal punto da doverla rinchiudere in un manicomio, da dove partiranno le sciagure dei due amanti.
Apro parentesi: già qui si distacca rispetto al libro che sviluppa la storia attraverso i carteggi tra i vari personaggi. La stessa Mina nell’originale ha redatto un diario, che in questo rifacimento teatrale non viene menzionato, bensì le esperienze in esso contenute vengono recitate direttamente. Inoltre, sono assenti alcuni personaggi, come Lucy: l’amica di Mina vampirizzata per prima.
Nel manicomio subentrano gli altri personaggi: il direttore del manicomio John Seward (Roberto Salemi), il pazzo Renfield schiavizzato dal vampiro (Lorenzo Lavia) e il dottor Van Helsing, interpretato magistralmente da Rubini.
Il dottore entra in campo per diagnosticare l’inspiegabile male di Mina, la quale ogni giorno diventa sempre più pallida e debole. A questo fine viene ricostruito il viaggio e ci si sposta in Transilvania.
Compare a viso aperto Dracula, fino ad allora presenza inquietante nell’ombra. Un mostro terribile nella sua imponenza, sadico, spietato e soprattutto affamato. Si diverte a torturare il povero Jonathan per poi passare a sua moglie. Eccellente performance di Geno Diana. La scelta di farlo parlare rumeno, da un lato rischia di compromettere la comprensione, dall’altro aumenta strategicamente lo straniamento dello spettatore.
Una piccolissima pecca sta nella battaglia finale che, dopo aver raggiunto elevati picchi di tragicità e di suspence, risulta poco “eroica”, un po’ sbrigativa.
Ciononostante spettacolo accattivante, da vedere. Ha meritato gli applausi scroscianti del pubblico.
Dracula è un viaggio in discesa verso l’abisso, verso l’ignoto, ma anche verso il mondo interiore del protagonista e universalmente dell’uomo che scava in se stesso sviscerando le sue paure e il suo rapporto con il male. Perciò, l’evidente taglio psicologico.
Gli effetti speciali sonori e scenici sono la marcia in più che acuisce il tetro clima di illusione e di incubo. A metà tra realtà e finzione, la rappresentazione sconfina e si avvicina al genere cinematografico. Durante la visione viene da chiedersi se ci si trova al cinema o al teatro o peggio ancora se sia tutto vero. È l’effetto della buona riuscita di uno spettacolo.
Ammettiamolo, però, il vero segreto del successo di un dramma è la performance artistica e, in questo caso, è impeccabile.
Non per niente, uno degli attori, nonché regista Sergio Rubini, ha già una fama consolidata, vantando collaborazioni con cineasti di spessore come Fellini. E quindi, cosa ci si poteva aspettare, se non una riconferma delle sue versatili capacità!
Interessante è l’intervista a «Napoli Today», esplicativa delle sue intenzioni. Spiega di essersi avvicinato al teatro per amore della sperimentazione e di considerarlo come “una scatola magica dove si può entrare […] con strumenti tecnici”, per un teatro multimediale e contemporaneo. Motiva anche la scelta di semplificare la trama perché troppo complessa per il diverso mezzo utilizzato. Nella sua, Jonathan è il protagonista assoluto che affronta un viaggio di formazione “virilizzandosi”. In più, riconferma l’importanza della psicologia e dell’inconscio nel suo Dracula “laico”, sottolineando la precocità delle intuizioni di Stoker prima dell’avvento di Freud.
“ In Dracula c’è il sottosuolo, è la nostra parte scura e la cosa che mi piaceva nel libro di Stoker è la metafora sulla malattia mortale che può colpire tutti terrorizzandoci”. Per Rubini è il rapporto con la malattia, vissuta come qualcosa di estraneo a noi (come Dracula), e invece integrante, a rendere sempre attuale questo romanzo.
Giusy D’Elia