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Jojo Rabbit e il potere salvifico della risata

Qualche settimana fa, nella sezione commenti di YouTube, mi sono imbattuta nello sbigottimento di un utente che dichiarava: “Non capisco cosa ci sia da ridere in una scena così drammatica.

Perché il pubblico non fa che ridere nei momenti tristi?”. E io non ho potuto fare a meno di ripensare a quella domanda nei giorni a venire, quando nelle sale italiane è uscito il controverso Jojo Rabbit, film ambientato nella Germania degli anni ‘40, che ha come protagonista un bambino filonazista e il suo amico immaginario, Adolf Hitler.

Già dall’uscita del suo primo trailer, Jojo Rabbit si è presentato come una pellicola pungente, satirica e potenzialmente problematica per la sua ambientazione storica. Questo perché siamo diventati schiavi del politicamente corretto e incapaci di trovare un significato più profondo nelle opere d’arte, basando il nostro giudizio sulla superficie delle cose, senza vedere il messaggio che si cela dietro.

Se si parla di nazismo, di odio razziale, di follia o di guerra, i più decretano che non si può riderne, che l’argomento è troppo serio per affrontarlo in qualsiasi altro modo che non preveda strazio e lacrime. Di Hitler e della sua follia omicida non si ride. Eppure, sarebbe in disaccordo il grande Charlie Chaplin, che già nel 1940 prese di mira il Führer, allora nel pieno della sua megalomania, con il film satirico poi candidato agli Oscar Il grande dittatore.

La verità è che talvolta il riso serve a esorcizzare la tristezza e l’orrore; ciò non significa non dare il giusto peso alle cose, ma umanizzare un accadimento talmente doloroso da apparire inumano. E se si ha a che fare col nazismo, con la morte e la cieca violenza, senza dubbio si ha a che fare con la perdita di umanità, una umanità che è nostro dovere recuperare a qualsiasi costo, non reprimendo le cose brutte, ma dando loro risalto facendosi beffe delle assurdità in esse contenute.

Jojo Rabbit riesce perfettamente nell’intento, raccontando un periodo storico a dir poco atroce, mostrando attraverso la lente deformata della satira una realtà triste che purtroppo è stata vera; una realtà in cui ai bambini veniva insegnato a odiare il diverso e a uniformarsi, a non leggere libri, a non pensare affatto, ma a obbedire ciecamente agli ordini di un capo che non avevano mai nemmeno conosciuto, se non per sentito dire.

Quella del piccolo Jojo è una realtà in cui se provi amore sei un debole, se non ti adatti al gruppo sei un emarginato, se disobbedisci sei morto. Non c’è nulla da ridere nella Germania di Jojo e il bambino dovrà presto rendersene conto; d’altronde, la crescita è inevitabile e il riso è per i liberi, per noi che (si spera) abbiamo allargato gli orizzonti, riconosciuto che al di là di religione, colore e orientamento sessuale siamo tutti uguali, tutti esseri umani capaci di sentire, di piangere per le cose brutte e di ridere per quelle belle, ma anche di fare l’opposto, se solo ci va.

Claudia Moschetti

La Redazione

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