Shamsia Hassani: una rivoluzione a colori
Shamsia Hassani, una giovane donna afgana che ha deciso di iniziare una rivoluzione a colori nella lontana Kabul.
Proviamo ad alzarci dai nostri comodi divani e a camminare per le strade di Kabul, tra mura sporche, edifici fatiscenti, strade in frantumi.
Proviamo almeno per qualche minuto a vivere la devastazioni della guerra.
Proviamo, infine, in questo grigio a far rinascere i colori.
Ecco che i graffiti della giovanissima Shamsia Hassani si manifestano per lasciar emergere la bellezza tra le macerie.
Una donna afgana che ha deciso di intraprendere questa forma d’arte, ispirata da Chu, un’artista del Regno Unito, rimanendo affascinata dal loro potere comunicativo.
Perché sì, ricordiamocelo, dietro un atto artistico c’è sempre un messaggio e Shamsia irrompe forte per le strade di Kabul.
In quindici rapidissimi minuti, in orari meno affollati, prima che venga colpita da pietre ed insulti; la pittrice riesce, con la sua forza comunicativa, a far scomparire le tracce di violenza che le bombe hanno lasciato.
Shamsia con i suoi graffiti che, nella maggior parte dei casi rappresentano donne con lo chador, rifiuta l’oppressione delle donne afgane nella loro società.
L’artista afgana rappresenta le donne per due motivi principali, sia perché le comprende meglio ma anche perché i personaggi femminili servono come simbolo per coloro che non credono abbastanza nelle donne.
Abbiamo così figure femminili avvolte da colori e musica, grandi e forti, fiduciose e sognanti; che librano tra le rovine.
Una donna con gli occhi chiusi e senza bocca, con uno strumento musicale deformato che le dà il potere e la sicurezza di parlare e suonare la sua voce con forza.
I suoi occhi chiusi credono che non ci sia niente di bello da vedere, desidera ignorare tutto, provare meno dolore.
Opere focalizzate su individui e questioni sociali, a volte politiche. Il personaggio nei suoi dipinti ha ruoli diversi, abbiamo una combattente oppure una rifugiata senza futuro. A volte in cerca della pace e, talvolta, non ha un’identità.
Perse nei loro sogni oppure nel dolore e nella tristezza, lottano con il passato e il futuro;
per riprendere il suo necessario ruolo di educatrice, che deve essere compreso e rispettato.
Spesso sono patriote che amano la propria terra natale, combattono la disperazione, per inserirsi al centro del percorso di progresso civile. Donne che richiedono i propri diritti: di voto, alla salute, all’istruzione, di opinione.
Non solo donne come simbolo, quindi, i dipinti della giovane artista sono divisi in serie, ognuna delle quali si concentra su un argomento.
Come quella sulla questione della migrazione, “Birds of No Nation” che ha uno scopo di commemorare le migliaia di persone che hanno lasciato l’Afghanistan nell’ultimo secolo in cerca di pace e una nuova identità in Europa o in altri paesi.
Come gli uccelli migratori che non hanno il loro paese o il luogo di residenza permanente, emigrano per essere sicuri e vivere ovunque si sentano bene.
L’artista parla tramite i suoi personaggi sempre diversi, tramite le sue combattenti senza futuro, giovani patriote, alfabeti visivi, come lei ama chiamarli, che attraversano la mente delle persone.
Arte come protesta: con la speranza di una Kabul nuova in cui i colori, la musica e le donne saranno il cuore pulsante della rinascita.
Federica Auricchio