Caro Dio, ti ricordi di me?
Cosa sono 365 giorni se li vedi scorrere come nulla? Quelle stesse identiche giornate che si fondono e si paragonano al niente; le uniche cose che ho cambiato sono gli anni ed i vestiti.
Caro Dio,
Non sono religioso ma, se esisti, vorrei chiederti un regalo. È abbastanza complesso da spiegare, quindi prima ti riassumo un po’ il passato che, per anni, mi ha scalfito.
Il pessimismo ha sempre fatto parte della mia esistenza, assieme all’ansia con cui convinto dalla tenera età di 16 anni, e da quei fantastici anni mi sono rovinato l’esistenza.
Non riuscivo a percepire il bello che mi ruotava attorno allontanandolo sia per paura sia per inerzia pensando “tanto tornerà”, ma non è mai stato così.
Ho gettato al vento tante di quelle occasioni che nemmeno hai idea. Sai cosa significa “essere felice” per quello che fai mentre, invece, vieni continuamente calpestato, sminuito, deriso e distrutto da chi ti vuole “indirizzare” per la retta via?
Ho ascoltato chi non dovevo ed ignorato chi dovevo: me stesso.
Sai, una delle mie frasi preferite è ” Tu sei il centro del mondo, gli altri solo il contorno” e solo adesso, a 25 anni suonati, sto cercando di mettermi al 100% al centro senza aver paura di affrontare, ancora una volta, anche i problemi più banali.
Avrei dovuto ribellarmi e non avere vergogna di espormi per come sono, per cosa amo fare e per ciò che creo, invece vivo il disagio di un’intera generazione che la sua unica preoccupazione è sopravvivere anziché vivere. Ed io ti chiedo, Dio, che senso l’intera esistenza? Se viviamo per vincere il solito concorso pubblico che nemmeno ci interessa, che senso ha la vita?
Non ha senso ed è vuota, ed è così che mi sento: Vuoto.
Anche oggi, parlando con i miei “carnefici” ho provato a chiarire, ma non ce la faccio: ho perso tempo, ho perso speranze e piano piano mi sento come se il mondo diventasse grigio e la gioia che provavo stia svanendo.
Ignorato da una vita e costretto a seguire i consigli di chi dice di conoscerti quando, di te, conoscono solo il nome; un nome che non porti con fierezza, anche se dovresti.
Sai alla fine come va a finire? Che cominci a bere, fumare, a svagarti nei peggiori modi solo per cercare quell’ebbrezza che trovavi anni prima in una notte stellata o in una canzone suonata male.
La gioia del suonare, l’odore della primavera, dell’autunno e dell’inverno, la gioia di ascoltare un CD si sono tramutati in impegni burocratici, in velleità messe da parte e la ricerca di un lavoro “vero” come se i divertimenti e le passioni giovanili non fossero altro che brevi e meri momenti prima di diventare come il simile avendo timore di cercare di essere l’unico.
Ci fanno sentire in colpa se dubitiamo sul nostro futuro o se vogliamo prendere una strada diversa dal “normale” e per questo vieni isolato in una quarantena mentale finché, alla fine, non ti converti.
Ci vengono scaricate addosso troppe colpe per farci ripudiare il nostro essere e per farci diventare il trofeo di guerra di chi ci ha messo al mondo.
Tutti questi avvenimenti, messi vicini, hanno formato la mia ansia anche nel fare la più piccola delle cose.
Ho paura del domani e di ciò che devo fare; mi sveglio impaurito di far un qualcosa di normalissimo rifugiandomi sotto le coperte, ho paura di quando si fidano di me perché nemmeno io mi fiderei di me stesso.
Ho paura di me stesso.
Però, quest’anno la musica è stata diversa: ho cominciato a credere un po’ più in me stesso, le solite delusioni sentimentali, fortunatamente, non mi hanno reso freddo verso chi mi ama davvero, anzi facendomi sentire più sicuro e forte allo stesso tempo amando ancora di più chi mi porge la mano senza pensarci due volte.
Ho cominciato a dire qualche “no” per percorrere una via senza fossi e senza avere la preoccupazione verso gli altri che, solitamente, non l’hanno avuta per me.
A non avere del paura ed essendo felice di ciò che accadrà tentando, ovviamente, di raggiungere la vetta della felicità che ho sempre cercato.
Quindi, ti chiedo solo di donarmi solo un po’ più di fiducia in me stesso in modo che io possa far del mio meglio, in primis per me e poi per gli altri.
Grazie.
Antonio Vollono
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