Giovanni Boldini: il mondo segreto tra nuove libertà ed antiche seduzioni
Il talento di Giovanni Boldini fu precoce: comparve ancor prima che egli imparasse a scrivere.
Venne introdotto al disegno dal padre Antonio il quale fu pittore e restauratore di dipinti sacri e di ritratti, abile copista di dipinti del Cinquecento e dei vedutisti veneziani. Originario di Spoleto, apparteneva alla vecchia scuola purista. L’artista, in un primo momento, seguendo le orme paterne diventa anche una piccola celebrità a Ferrara per i suoi ritratti e per i sui scorci paesaggistici; in seguito si trasferisce a Firenze per frequentare l’Accademia di Belle Arti. L’ambiente accademico ed il soggiorno fiorentini lo portarono a legare in maniera indissolubile con alcuni dei grandi esponenti della nuova corrente pittorica dei macchiaioli: Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Vincenzo Cabianca, Odoardo Borrani ed il critico Diego Martelli.
Eppure ben presto si discosta fisicamente e mentalmente dalle colline ferraresi, dal sole caldo e dai rassicuranti odori delle periferie incontaminate, comprendendo i limiti del movimento, che pur avendo avuto una vibrante acme, rimase confinato ad un’identità regionale. L’artista, dopo aver vissuto per un breve periodo a Londra, si trasferisce a Nizza e poi a Parigi, capitale artistico-culturale francese. La città si offriva all’artista, attraverso le sui miriadi di sfaccettature, attraverso le sue evoluzioni così veloci ed attraverso nuove libertà tutte da esplorare.
Nei decenni che lo vedono protagonista, ovvero dal 1871 al 1930, Parigi era un coacervo di menti geniali che si ritrovano, che si comprendono e producono all’unisono una nuova idea di arte, scambi intensissimi tra scrittori, interrelazioni, correlazioni profondissime tra artisti di vario genere. Sedotto da uno stile di vita nuovo estremamente pieno, egli aderisce ad un realismo luminoso, rappresentando e divenendo interprete di eccellenza del vasto scenario sociale della vita mondana parigina. Le sue donne, le donne che il pittore ritrae nei parchi oppure nei caffè, sono costrette in quei diabolici corsetti che le donano un’aria da eterne bambine, di maliziose ninfette che esplorano nuove ed interessanti seduzioni, in un gioco i cui limiti non sono ancora stati fissati.
Nonostante il pittore non sembrasse avere la phisique du role del seduttore, si dimostrò essere un grande amatore frequentando entrambe le due dame ritratte in quest’opera: a sinistra la contessa Gabriella, che sebbene imprigionata negli abiti classici dell’epoca, mostra la posa e la corporatura possente della donna mediterranea, battagliera e fiera, in contrasto antitetico e giocoso con la snella, sinuosa figura della bionda Berthe che rispecchia il canone di donna-angelo, con i suoi capelli biondi e gli occhi cerulei che si guardano intorno furbamente.
Ed è di nuovo la giovane contessa Gabriella, il soggetto della scandalosa piccola tavola (55×45 centimetri), La toelette (Femme s’essuyant), realizzata da Boldini tra il 1880 e il 1885. Il dipinto che risulta disarmante per la profonda spazialità e per l’innovativo taglio applicato dall’artista rappresenta una donna vera e verace in un gesto altrettanto vero: ella è rappresentata in un’intima toeletta che la ritrae mentre si erge seminuda sui polpacci robusti e si asciuga quasi indifferente allo sguardo indiscreto del pittore che la ritrae con la sensibilità di un amante più che di un artista. Quest’opera non pretende di essere un manifesto filosofico o politico, è quello che appare, senza fronzoli e senza esagerazioni: la contemplazione dell’oggetto del desiderio e diventa pertanto un inno alla libertà della modernità.
Diventa, dunque, il massimo esponente della pittura dell’epoca, del ritratto di rappresentanza e mondano, distinguendosi dagli altri ritrattisti dell’epoca per l’abilità nel disegno, per l’attenzione alle vesti tipiche dell’epoca, per la dovizia di particolari e per la caratteristica ricerca del colore che si risolveva in una tavolozza che esplorava specialmente la gamma dei bruni e dei neri, con dettagli, piccoli e rari di colori vivaci che spuntavano solitari sulle campiture nervose e scure, nelle atmosfere cupe di una pittura frustata sul legno nel gesto rapido che rimanda alla rapidità dell’impressione, che diventa mezzo per travalicare una nova idea di spazialità ma non solo, per assaporare una nuova idea di libertà, di una spudoratezza che era simbolo del mondo moderno.
Intento a cogliere lo spirito civettuolo e godereccio dell’epoca, l’artista mostra un talento indubbio, ma il suo più grande merito è proprio quello di aver individuato e consecutivamente aver furbamente cavalcato la tendenza del momento, interpretando il gusto di un’epoca che andava via via affermandosi: la Bella Epoque. Le sue amiche, le sue amanti e le sue modelle posavano per lui, ben liete di essere anch’esse parte di un qualcosa che travalicava il senso stesso della pittura.
Le modelle di questa serie, Leda e il cigno, sono riprese in vari momenti intimi e cruciali, intensi e privati, ma è chiaro che a coglierle è lo sguardo di una persona dalla spiccata sensibilità e gusto per il bello. Le gambe affusolate, appena accennate dal gesto pittorico fluido ma scomposto, talvolta quasi frenetico, restituiscono l’immagine di una figura di donna leggiadra e vitale. Le pingui forme delle modelle che si fondono armoniosamente con il resto della composizione è bilanciato dal netto contrasto dei costumi infantili-adolescenziali con la malizia ostentata degli sguardi accesi delle modelle che Giovanni Boldini amava rappresentare.
Luisa Ruggiero
Vedi anche: Henri de Toulouse Lautrec: una sensualità profonda.