Il cinema parla, il cinema urla
Il cinema tedesco, con l’arrivo degli anni Venti, conosce la messa in scena e inizia a porre le basi di un immaginario che è ancora oggi attuale, fatto di vampiri e mostri, di eroi e cattivi. Gli attori iniziano a porsi nei panni di figure inverosimili, che fanno gesti altrettanto inverosimili, e riescono a elevare questi gesti, rendendoli il più possibile espressivi. Da qui il nome di Espressionismo tedesco.
Quando all’università scegli un esame di cinema non ti aspetti certo un professore che fonda un cineforum e decide di obbligarvi a vedere dei film, però succede. Allora pensi: tanto non li vedrò mai, e invece siamo arrivati agli anni Venti e il professore nel corso delle lezioni ha premuto play tre volte.
La prima volta è stata per Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene, un film “horror” del 1920, che porrà le basi degli horror che verranno dopo, sia nella struttura che nei personaggi. È un film con una forte impronta psicologica e con un finale molto particolare e ambiguo, che lascia spazio a molti dubbi e alternative (e che non vi svelo, ovviamente; si trova anche su youtube: ve lo consiglio).
Il film è incentrato sulla tematica del sonnambulismo: il famoso dottor Caligari prende un sonnambulo e decide di usarlo come omicida, costringendolo ad uccidere donne e uomini, mosso dall’insano bisogno di capire se davvero è possibile convincere un sonnambulo a fare cose che da sveglio ripudierebbe. Per alcuni critici il film rappresenterebbe i soldati della Germania nazista costretti ad uccidere a causa di un potere misterioso che li manovra: i soldati, infatti, non si rendevano conto della gravità di quell’azione, in quanto convinti psicologicamente dell’impersonalità delle vittime.
La seconda volta è stata per Nosferatu di Friedrich W. Murmau, un film del 1922 ispirato al famoso romanzo Dracula di Bram Stoker. Nel film i nomi di luoghi e personaggi sono stati modificati per ostacolare il diritto d’autore, con la convinzione che il film non avrebbe avuto tanto successo, ma purtroppo o per fortuna questo non accadde: il film ebbe successo, ma vennero denunciati.
Tutti conosciamo la famosa storia del vampiro: il Dracula di Murmau si chiama Nosferatu e viene sconfitto solo quando una donna, lasciandosi contaminare, muore per salvare l’intera città.
Tornando ai nostri critici, per alcuni il film rappresenterebbe l’antisemitismo: il vampiro viene paragonato alla minaccia ebrea e la sua morte vista come una vittoria da parte della Germania.
La terza volta è stata la più bella, a mio parere. In una lezione conclusasi con un applauso sincero siamo finiti tutti in un futuro molto vicino creato da Fritz Lang con Metropolis. Il film è stato girato nel 1926 ed è ambientato in un futuro distopico esattamente cento anni dopo: oggi, nel 2020, a quella data mancano pochissimi anni e, vederlo con gli occhi del passato, fa quasi paura.
Il film è incentrato sulla tematica della mediazione tra mani e testa. Metropolis è una città comandata dai più forti e costruita dai più deboli ma, come in ogni film che si rispetti, l’amore è capace di mettere in pari le cose. Freder, il protagonista, è il figlio del capo della città e si innamora di Maria, figlia di un lavoratore. Sarà proprio lui a fare da mediatore tra le mani che costruiscono (i lavoratori) e le menti che progettano (coloro che abitano la città), in una scena finale che lascia spazio anche alle lacrime, dove sarà proprio la donna a spingere Freder ad essere il cuore di quel rapporto.
“Tra le menti che progettano
e le mani che costruiscono
deve esserci un mediatore,
e questo è il cuore”
I film sono tutti e tre muti, corredati da brevi parti scritte, ma le emozioni traspirano fortemente. Come scrisse Massimo Gramellini ne L’ultima riga delle favole, se si guarda un film muto e si osservano le azioni, qualcosa potrebbe anche essere il contrario di come sembra: i gesti bastano, gli sguardi sono sufficienti, poche parole di sottotitolo sono quel poco che serve veramente per capire ciò che, alcuni registi, hanno voluto lasciare di loro quasi cento anni fa. Il cinema è qualcosa di aspro, qualcosa che lascia con il groppo alla gola. Alcuni film riescono a farci piangere e delle volte ci restano impiantati nella testa per giorni, i personaggi diventano spesso nostri amici, persone che vorremmo diventare.
Il cinema è nato nel 1895 ed oggi, a centoventicinque anni di distanza, riesce ancora a dirci: “Non mi spegnerete facilmente”. Il cinema non ha un pulsante, il cinema non è come la tv: non si cambia canale, non c’è pubblicità, è un’ora e mezza di passione. Come la letteratura, come il disegno e come la scultura, il cinema è arte.
Martina Casentini