La Cupa di Mimmo Borrelli: fabula di un omo al San Ferdinando di Napoli
La città di Napoli, coronavirus o no, non si ferma, i suoi teatri non chiudono e ieri il Teatro Mercadante – assieme al Teatro San Ferdinando – ha accolto la visita del premier francese Macron, accompagnato da Giuseppe Conte e dal nostro personalissimo Luigi de Magistris. Ieri ha debuttato inoltre – sempre al San Ferdinando – La Cupa, pietra miliare e capolavoro del teatro di Mimmo Borrelli (in cartellone fino all’otto marzo).
Recensire gli spettacoli di Mimmo Borrelli è sempre complicatissimo, un’impresa da critici acritici, in grado di entrare nello spettacolo senza pregiudizi e antagonismi, né predisposizioni su ciò che il teatro dovrebbe essere e rappresentare. Approcciarsi – da spettatore o da giornalista – ad un’opera di Mimmo Borrelli con la convinzione di dover comprendere, analizzare, giudicare all’istante è assolutamente errato, il modo migliore per privarsi di una esperienza, artistica ed emotiva, unica. La decostruzione può avvenire in un secondo momento, dedicato alla riflessione, ma soprattutto allo studio. Una mia amica attrice – ne conosco tante, tutte intelligenti e bravissime – mi ha addirittura consigliato di studiare l’opera prima ancora di andarla a vedere come spettatrice, per poi rivalutarla ancora più attentamente, sapendone cogliere dettagli, soluzioni sceniche, trame e sottotrame . Le possibilità di gestione e di analisi del teatro di Borrelli sono molteplici, nessuna teoria conclusiva ma tutte ugualmente affascinanti, illuminanti. Credo sia precisamente questa potenziale polisemia, accostata anche all’evidente ermetismo, ad una difficoltà calcolata e voluta, ad arricchire di esperienza la performance di questo attore/autore/regista del corpo e del linguaggio, capace di inscenare un dramma del gesto, dell’urlo, del canto. La voce, le movenze, la posizione di braccia, gambe, teste e mani, piedi, occhi, costruisce una narrazione non poco importante ma secondaria all’impatto primo, quello frontale, del faccia a faccia tra attore e platea. La sopracitata narrazione, la scomposizione della componente testuale, connessa solamente all’intreccio, fa parte di quella fase successiva di cui parlavo prima, servitrice e sottoposta di una musicale bestialità che riesce subitaneamente a colpire, talvolta con violenza, talaltra con dolcezza. L’artificio è il mezzo per un contatto – paradossalmente – puramente diretto, quasi un “cine -pugno” teorizzato da Sergei Ejzenstejn applicato alla scena teatrale, in cui l’insieme di trucchi, le capacità proprie del mezzo, risuonano nello spettatore con un’emozione potentemente spontanea, un riflesso incondizionato ed inevitabile.
Tuttavia, ne La Cupa come negli altri spettacoli, l’aspetto forte dell’impatto iniziale non deve esaurirsi in questa interpretazione – tutto sommato semplicistica – e la necessità imperiosa di riconoscere i segni, le allegorie e i simboli presenti sulla scena diventa la chiave di lettura più vera, complessa e completa. Ogni opera di Borrelli è un invito alla discesa nell’abisso, un abisso profondo alla fine del quale c’è la promessa della rivelazione di un segreto, importantissimo e magnifico, di cui si ignora l’esistenza finché quell’invito non risveglia qualcosa di ancestrale ed indicibile, una disperazione corale satura di meraviglia. La scenografia di Luigi Ferrigno – come sempre perfetta e bellissima – è il regno in cui l’abisso prende vita, luogo di fiaba e girone dell’inferno, dove racconto popolare e teatro greco si incontrano per esplodere in una sinfonia fantastica, rapsodica, di commistioni e linguaggi sconosciuti. La bellezza del segreto non è nel suo effettivo svelamento, ma in quell’attesa, quella promessa, quella sala d’aspetto piena di anime purganti, sofferenti, incredule.
Bravissimi, nella loro lampante meticolosità, gli attori, capaci di entrare nell’immaginario borrelliano e a farsi suoi fantocci, burattini impeccabili di un artista precisissimo. Sempre incredibile il corpo, la voce e il gesto di Borrelli, gigante buono e cattivo, padrone del palcoscenico e re assoluto del suo regno misterioso.
Buona visione.
Sveva Di Palma
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