Profondo rosso e altre sfumature d’ansia: da cosa nasce la cromofobia
Vi è mai capitato di entrare in una stanza dipinta di colori accesi oppure di fissare un’immagine particolarmente vivida e percepire una crescente sensazione di malessere e angoscia?
Se sì, è probabile che soffriate di cromatofobia o cromofobia, ovverosia la paura dei colori accesi.
Nulla di che preoccuparsi, naturalmente.
Non siete pazzi né paranoici, se il terrore s’impadronisce di voi al cospetto di tonalità sgargianti che non sembrano dare fastidio a nessun altro.
In verità, non siete soli. La cromofobia è un fenomeno riconosciuto e diffuso anche tra i vip, si pensi al regista Woody Allen, notoriamente ipocondriaco e cromofobico, o all’attore Billy Bob Thornton, lo spietato sicario Malvo nella serie tv Fargo.
E anche alcuni animali parrebbero soffrire di tale condizione. No, non pensate al luogo comune del toro che rincorre il matador e il suo drappo scarlatto; il toro in verità è daltonico e rincorrerebbe chiunque lo sfidasse dinnanzi a una folla urlante. Ma le tartarughe marine hanno comprovata avversione per certe luci gialle, che usano per orientarsi in mare, mentre il Latterino Sardaro, piccolo pesce del Mediterraneo che vive spesso negli acquari, sembra rifuggire spesso gli oggetti rossi nelle sue nuotate domestiche.
Soffrire di cromofobia non vuol dire, nel caso degli umani, avere paura dei colori in sé; il più delle volte la sensazione di inquietudine è scatenata dall’associazione di un dato colore a un evento traumatico o a una paura maggiore e ben più pericolosa nel concreto.
Perciò, chi ha paura del rosso – ed è dunque eritrofobico – può essere in realtà intimorito dal sangue o da un ricordo particolarmente violento, così come il cianofobico che teme l’azzurro magari ha paura dell’acqua o ha rischiato di annegare una volta. Non si può mappare con assoluta certezza l’origine di tale fobia, perché è di natura psicologica e può ovviamente variare di persona in persona.
Studi dimostrano che il nostro cervello ottiene maggiori stimoli dai colori per quanto concerne la memoria, tendendo quindi a rimuovere più spesso cose associate al bianco e nero. È questa la ragione per cui, ad esempio, sugli aerei non è mai presente il colore giallo, che la psiche associa di frequente al vomito o alle malattie, causando in chi lo osserva vertigini, mentre abbondano le sfumature mediocri e confortevoli di grigio e beige.
Convivere con questa fobia, uscire in questo mondo sempre più variopinto e appariscente, può essere un po’ spiacevole a volte – provate a immaginare la reazione di un cromofobico che mette piede per la prima volta a Las Vegas – ma non impossibile. Anzi, si può lavorare sulla propria psiche per “rieducare” il cervello ai colori, provando ad associare nuovi significati o ricordi al colore particolarmente sgradito, accompagnando il tutto con esercizi di respirazione e rilassamento. Ed ecco che il rosso non è più la tinta del sangue, ma forse il colore del rossetto preferito di tua madre, e il giallo non più sinonimo di malattia, ma dei caldi raggi solari d’agosto.
Non stupisca questo approccio ai colori come terapia d’urto contro la cromofobia. Anche tra i popoli più antichi, Egizi e Cinesi in primis, si praticava la cromoterapia, l’uso dei colori per guarire dai mali dell’anima – stress, depressione stagionale, ansia – a riprova che le tenebre si sconfiggono con la luce e i brutti ricordi con quelli belli.
Claudia Moschetti
Vedi anche: La nomenclatura di Werner e la poesia nascosta nei colori.