Tutto l’amore che (non) ho: l’abuso psicologico cantato da Marracash
“Tutto l’amore che ho, tutte le forze che ho” sembrerebbe proprio una bella dedica da fare alla propria dolce metà… peccato che CRUDELIA – I nervi di Marracash non parli affatto di una serena storia d’amore. Sulle note di questo brano si racconta l’abuso psicologico, una delle forme di violenza più diffuse e, al contempo, più sottovalutate di sempre.
Guarda: Marracash – CRUDELIA – I nervi
Quando si tratta di fare gli sdolcinati con il proprio partner e di aggiungere a quanti più brani possibile l’appellativo di “NOSTRA canzone”, la vita diventa una corsa a chi riesce ad aggiudicarsi il refrain più smielato. Attenti, però, a quei dannati quindici secondi di IGstories, perché non è tutto oro ciò che luccica. Dietro una delle canzoni hip-hop più popolari degli ultimi tempi potrebbe, infatti, celarsi un significato ben più profondo di quello che traspare nel solo ritornello di CRUDELIA – I nervi di Marracash.
Di abuso si sente parlare a volte troppo poco, altre troppo spesso e impropriamente, eppure, a mio avviso, mai abbastanza. “Abuso” è una parola che scotta, fa male anche solo leggerla, è carica di vergogna, risentimento e incertezza.
Curioso come delle semplici lettere combinate insieme in una certa maniera riescano ad evocare tante emozioni negative, sono solo parole, in fondo, no?
Passerà questo per la testa di chi non ha mai imparato a selezionare cosa sia giusto dire – ma anche solo pensare – e cosa no, ma una vittima di violenza, chi da quelle stesse lettere messe insieme e sbattute in faccia si è trovato ferito, buttato a terra, svalutato no, non può affatto pensarla così.
La faccenda si fa, se possibile, ancora più delicata e complessa quando ad evocare queste sensazioni è la vita di coppia, quella che per chiunque dovrebbe rappresentare un porto sicuro, nata per curare e mai per ledere. Non si parla, in questa sede, di sopruso fisico o di abuso sessuale, ma di una forma di violenza più subdola, non sempre semplice da riconoscere e soprattutto da accettare, che è quella psicologica.
Cerchiamo, ora, di capire come riconoscere certe dinamiche facendoci accompagnare proprio dal testo, già di per sé eloquente, di CRUDELIA – I nervi.
“Un ragazzo incontra una ragazza
Sono entrambi fuoco, incendiano la stanza
Nella vita lui un po’ ce l’ha fatta
Però sotto sotto qualcosa gli manca
E lei lo capta, sembra calda, che ha una marcia in più
Mentre dentro invece è la più marcia
Mentre dentro è fredda come igloo”
Tutto inizia da un incontro di un’intensità divampante.
L’aggressore emotivo – che in questo caso è una donna, perché la violenza non ha genere – intraprende relazioni con le sue vittime senza esitare a sfoderare la sua arma di manipolazione prediletta: l’emozione. Comincia col mostrarsi come il migliore dei partner che si potrebbe desiderare, l’amante più passionale, una persona in gamba da non lasciarsi sfuggire. Dietro quest’idealizzazione – già tipica dei primi mesi di conoscenza – si nasconde, però, un incubo che aspetta solo di potersi realizzare.
“È un’arpia, strategia, diventare quello che lui vuole
Che lei sia, pianti e figa le armi per estorcergli l’amore
Dice, dice, ma è una predatrice, prima stordisce la preda
Lui reagisce, però non capisce che lentamente si è presa tutto”
Superata una fase di stordimento, in cui tutte le certezze a cui il partner aveva abituato la vittima crollano al suolo, l’aggressore si mostra per quello che è realmente: una persona meschina, calcolatrice, con frenetiche manie di controllo. La relazione diventa teatro delle più assurde scenate di gelosia ossessiva, di miserabili inganni, colpevolizzazioni e umiliazioni dell’altro.
Chi abusa vuole indurre un meccanismo di dipendenza nella sua vittima, distruggere la sua autostima, per immetterla in una realtà stravolta, una trappola di falsità in cui non esiste ragione né torto, ma solo il volere dell’aggressore.
“Che poi non so perdonare me
Perché ero un complice in fondo”
Vivere in un simile mondo capovolto, in cui nulla sembra avere più senso, porta la vittima persino a prendersi la responsabilità di ciò che subisce: arriva a sentirsi complice di quell’imbroglio, come se la colpa fosse – se non totalmente – anche solo in parte sua. L’auto-colpevolizzazione è un atteggiamento tipico delle vittime di violenza, ed altro non è che il risultato del pregiudizio sociale verso chi non reagisce e dello svilimento del proprio valore attuato, nel tempo, dall’aggressore.
Riconoscere questi meccanismi perversi è il primo, fondamentale passo verso la consapevolezza di trovarsi in una situazione senza futuro, che prima o poi porterà la vittima ad un crollo psicologico, con le conseguenze devastanti che ne potrebbero derivare.
L’epilogo del brano di Marracash ci insegna che l’unica, inguaribile vittima di questo circolo vizioso di violenza è l’aggressore, inevitabilmente schiavo della sua stessa natura.
Mi hanno insegnato a non odiare i miei nemici
Ma non ne avevo mai amato uno
Quando ci siamo conosciuti, si sapeva già che uno dei due avrebbe perso
Ma come potevo vincere con te?
Non provi niente, sei un rettile vestito da essere umano
Quello che hai fatto a me e quello che hai fatto a te stessa
Lo farai a tutti e per sempre perché sei un buco nero
Perché questa è la tua natura
Ma io ho smesso di essere una tua vittima, tu non smetterai mai di esserlo
Non ammetterai mai chi sei
Rebecca Grosso