Anastasia Romanova: tra leggenda, follia e realtà
“Feste e balli, fantasie/ É il ricordo di sempre / Ed un canto vola via / Quando viene dicembre”.
Lo so, molti di voi l’avranno sicuramente letta cantando, e come sarebbe possibile il contrario.
Chi almeno una volta nella vita ha visto il film d’animazione Anastasia del 1997 targato 20th Century Fox conoscerà certamente questa canzone insieme a Il mio inizio sei tu, cantate, nella versione italiana, da Tosca e Fiorello.
A distanza di anni queste canzoni riecheggiano ancora nella nostra memoria interna così come la misteriosa figura della principessa Anastasia, realmente esistita, certo, ma con una vita molto diversa da quella che abbiamo conosciuto sul grande schermo.
Eh, già, perché se nel film d’animazione la bella principessa dagli occhi azzurri e dal carattere frizzantino riesce, alla fine di mille avventure, a ricongiungersi con la tanto amata nonna dalla quale era stata costretta a separarsi in seguito alla congiura di Rasputin, nella vita reale le cose non sono andate proprio così per la tanto amata granduchessa russa.
La fine dei Romanov, così come alcuni storici preferiscono definire l’insieme degli omicidi politici compiuti dal nuovo potere sovietico ai danni dell’ex famiglia imperiale, è storia ormai nota.
Nella notte tra il 16 e il 17 luglio del 1918, l’ultimo zar Nicola II e sua moglie Alexandra furono svegliati in piena notte dal comandante Jokov Jurovskij – rivoluzionario russo e capo dello sterminio della famiglia reale – con l’ordine di svegliare i loro cinque figli (Ol’ga, Marija, Anastasija, Tat’iana e Aleksej) e tutta la servitù presente a corte col fine di proteggerli da un’imminente insurrezione a palazzo.
Sapere la propria famiglia in pericolo bastò allo zar per adempire all’ordine senza replicare e seguire così il comandante Jurovskij nella cantina della cosiddetta “casa dello scopo speciale” di Ekaterinburg, una grande città all’Est di Mosca dove l’allora famiglia reale era detenuta dall’aprile del 1918.
Quando però i reali entrarono nella cantina, si resero ben presto conto che non si trattava di nessun piano per proteggerli da una qualche irruzione a palazzo, ma di una vera e propria esecuzione a morte ai loro danni. E così quella notte, dieci soldati bolscevichi spararono all’impazzata sulla famiglia reale ponendo fine ai 300 anni della dinastia Romanov. O quasi…
Così come abbiamo avuto modo di vedere anche nel film d’animazione prodotto e diretto da Don Bluth e Gary Goldman, qualcuno quella notte pare sopravvisse e molte ipotesi negli anni sono ricadute proprio sulla sopravvivenza della principessa Anastasia: credenza accreditata anche dal fatto che il corpo della granduchessa, insieme a quello del fratello Alessio, non furono mai ritrovati. Dunque, la notizia di un’ipotetica sopravvivenza dell’ultima regnante dei Romanov, si sparse presto e, come sappiamo, molte donne in quegli anni si mobilitarono, senza alcun successo, per essere riconosciute come la principessa di Russia.
Eppure, tra tutte le donne che provarono a rivendicare la loro identità imperiale, ce ne fu una in particolare che riuscì ad attirare l’attenzione dei più: Anna Anderson.
Nel febbraio del 1920, un poliziotto salvò una giovane donna da un tentativo di suicidio presso il canale di Landwehr, un canale artificiale che attraversa Berlino. Portata in ospedale la “signorina sconosciuta”, così come fu soprannominata per via dello stato confusionale nel quale fu ritrovata e l’assenza di documenti di riconoscimento, si chiuse, nei giorni successivi al suo ritrovamento, in un lungo silenzio: conseguenza inevitabile per via del trauma.
Superato lo shock iniziale però, la donna iniziò a sostenere di essere la principessa Anastasia, cosa non del tutto improbabile data la visibile somiglianza con la granduchessa. Ma ad attirare l’attenzione dei più – oltre le somiglianze fisiche – furono soprattutto i particolari che essa raccontò di quella fatidica notte del 1918. Anna Anderson, come fu poi chiamata, spiegò minuziosamente come il comandante li portò giù in cantina con una scusa, dei successivi colpi d’arma da fuoco che furono sparati senza un ordine preciso sui corpi di tutti e dei finali colpi di grazia di baionetta: tutti segni che Anderson aveva davvero sul suo giovane corpo e che furono provati dalle visite mediche alle quali fu sottoposta. Ma soprattutto raccontò di come si salvò da quel massacro, grazie alla compassione di un soldato lasciato di guardia ai cadaveri.
Insomma, la probabile sopravvissuta raccontò tutti i dettagli di quanto avvenne fuori e dentro al palazzo, cose che nessuno poteva conoscere se non chi era presente lì in quella notte di luglio.
Tutto ciò contribuì ad attirare l’attenzione dei più: molti la credevano davvero l’ultima figlia femmina dello zar ma allo stesso tempo non erano pochi quelli che la consideravano una folle truffatrice tanto che alla fine la fecero internare nell’ospedale psichiatrico di Dalldorf.
Dopo il suo rilascio, certamente provata dall’ennesima, forse, esperienza negativa, Anna/Anastasia si trasferì per circa un anno nella foresta nera in totale solitudine finché poi, nel 1968 partì alla volta di Charlottesville, in Virginia, Stati Uniti, dove conobbe e sposò lo storico John Manahan.
Nei suoi anni di vita Anna Anderson provò in tutti i modi, anche tramite svariate battaglie legali a farsi riconoscere come la principessa Anastasia. L’intergiudiziario fu lungo, stancante e controproducente, tanto che si concluse 1970, quando la corte suprema di Karlsruhe dichiarò il caso irrisolto.
Quando poi nel 1984 Anna Anderson morì a causa di una polmonite, le ceneri conseguenti alla cremazione del corpo, furono usate per un esame del DNA confrontabile con quello che precedentemente fu fatto sui resti della famiglia Romanov, ritrovati nel 1979.
Le analisi portarono un esito negativo confermando i sospetti dei più: Anna Anderson non aveva nessun legame con l’ex famiglia imperiale. Al contrario il suo DNA la riconduceva ad un’altra donna, una certa Franziska Schanzkowski, conosciuta per i suoi gravi disturbi psichiatrici che la portarono ad essere ricoverata nel manicomio di Berlino dal quale, a quanto pare, scappò.
L’ipotesi comunque lascia dei dubbi poiché quando Anna Anderson fu salvata da morte certa, Franziska Schanzkowski pare si trovasse in Polonia.
Il caso dei Romanov dunque pare davvero non poter trovare pace. Ma se ci sono dubbi sulla sopravvivenza della granduchessa, beh, voglio tranquillarvi e dirvi che tra tutti l’unico davvero sopravvissuto e ritrovato, fu Joey, il cagnolino di razza spaniel appartenuto ad Alexei.
Adele De Prisco
Vedi anche: Furono baci e furono sorrisi, poi furono soltanto i fiordalisi